Il "Torso di giovanetto" costituisce una delle più signolari invenzioni di Arturo Martini, ancora più sorprendente per uno scultore in genere così attento alla narrazione: non soltanto rinunciò all'ambientazione, ma si limitò a rappresentare un dorso umano maschile privo di braccia e troncato a metà testa e a metà glutei. Tale scelta, tuttavia, era soltanto apparentemente antinarrativa e fu lo stesso artista a spiegare le sue intenzioni: mentre stava modellando una schiena, si era accorto che i vari muscoli delineati non funzionavano più come tali ma "come descrizione panoramica di un mondo, cioè tra soste, montagne, avvallamenti". La schiena mutila acquistava così una sua dimensione narrativa offrendosi quasi come un paesaggio naturale. Per quanto praticata con una soluzione originale, l'idea del troncamento non era una novità assoluta e già Adolfo Wildt, tra gli italiani, aveva operato in anni recenti delle amputazioni in chiave antirealista. Ma nel caso del "Torso di giovanetto", soprattutto per l'insolita scelta di tagliare il capo ben oltre l'attaccatura dei capelli, non si può escludere la suggestione della "Psiche di Capua", che Martini poté vedere nel Museo Archeologico di Napoli nel corso del suo viaggio a Palinuro, in Campania, nel 1927. Eseguita a Vado Ligure, l'opera fu esposta per la prima volta a Firenze nel 1932, in occasione di una mostra personale di Martini a Palazzo Ferroni. Dalla terracotta originale, dal 1933 alla Tate Gallery di Londra, lo scultore ricavò lo stampo di gesso per ottenere altri sette esemplari, sempre in terracotta; successivamente intervenne sull'esemplare appartenente a Raffaello Giolli, aggiungendo una parte del bacino e del costato, per ottenere una maggiore tridimensionalità nella scultura: da questa seconda versione derivano i cinque bronzi realizzati alla Fonderia MAF di Milano per gli eredi Giolli, uno dei quali è stato acquistato dalla Civiche Raccolte milanesi nel 1953. [Massimo De Sabbata]