Con il progressivo affermarsi dell’alpinismo moderno, nel primo decennio del ‘900 aumenta la frequenza dei soggiorni di Longoni tra le vette alpine. Dapprima brevi incursioni a mezza montagna, queste si trasformano in lunghi soggiorni passati a dipingere al riparo degli alpeggi, spesso con la sola protezione di una capanna-paravento portatile e il supporto dei montanari. Il tema alpestre diverrà per Longoni il soggetto ideale per una continua, rigorosa sperimentazione pittorica. Vengono preferiti luoghi quali ghiacciai e piccoli laghi disseminati sulle alture, per lo studio della rifrazione della luce sul ghiaccio o della scomposizione cromatica dei cieli riflessi nelle limpide acque di montagna. In questo dipinto, lo specchio d’acqua viene rappresentato come un sottile diaframma tra cielo e terra. La pennellata frammentata del pittore sembra sottolineare la stratificazione secolare di aria, nebbia, terra, acqua e minerali, fusi in un gioco di corrispondenze cromatiche e formali. Presentata alla Biennale veneziana del 1910 l’opera riscosse un certo successo, in particolar modo per le suggestioni ottiche e la cristallina resa della limpida atmosfera montana.
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