Il soggetto trattato, un classico della pittura dal XVI al XVIII secolo con cui si sono misurati pittori della fama di Velázquez, Goya ed altri ancora, propone intendimenti chiaramente autobiografici, che non sono da escludere nemmeno per Sebastiano Ricci, il quale può con questo dipinto assimilarsi ad Apelle, il più celebre pittore dell’antica Grecia. L’episodio, derivato dalla Naturalis Historia di Plinio, racconta dell’incarico che Alessandro Magno assegnò ad Apelle per ritrarre Pancaspe, la sua concubina preferita; l’artista nel realizzare il ritratto si innamorò della giovane donna la quale, con grande magnanimità, gli fu data in dono da Alessandro. Con estrema raffinatezza ed ogni possibile effetto scenico, il Ricci condensa il racconto, come in un’istantanea, nel momento più saliente, quello dell’atto del dipingere, quando si determina quel continuo passaggio di sguardi fra pittore e modella, sotto gli occhi vigili ed ammirati del committente e dei suoi dignitari. Nella scena caratterizzata da quel timbro tipicamente veronesiano di “pittura nella pittura” e dall’eccezionale luminosità squisitamente veneziana, sostenuta dai riflessi dell’architettura di fondo, le figure, riprese con una prospettiva dall’alto al basso, si stagliano in controluce e prendono forma grazie alle cromie smaglianti e alla preziosità materica dei colori. Particolarmente riuscito il profilo greco di Pancaspe, resa ancor più regale dalle ricche vesti e dai preziosi ornamenti.
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