Tornato in Italia nel 1927 dopo un soggiorno di sei anni in Argentina dove il padre, scultore funerario, era co-titolare della ditte Fontana y Scarabelli a Rosario di Santa Fe, Fontana si stabilì a Milano e si diplomò nel 1930 all'Accademia di Brera, cercando una strada alternativa al pur affascinante e visrtuosistico magistero wildtiano. Dopo la prima personale, che nel dicembre 1930 lo vide esporre all Galleria del Milione il celebre e oggi disperso "Uomo nero" in gesso ricoperto di catrame, nel quale la critica da sempre riconosce il dirompente avvio del suo percorso maturo, Fontana lavorò a una serie di busti in terracotta colorata, esposti alla fine del 1931 in una seconda personale nella stessa galleria. Nella prima monografia su di lui, scritta da Edoardo Persico nel 1936, il critico napoletano, scrivendo di un giovane scultore "alla ricerca di uno stile europeo", annotava che in questi ritratti femminili "la vivacità dell'espressione è fermata soltanto dalla programmaticità della colorazione: nero e argento, nero e oro". A questo precoce convergere di scultura e pittura nella policromia e nel modellato, che negli anni a venire sarebbe stato per lui ricco di conseguenze creative, faceva riferimento lo stesso Fontana in un articolo del 1939 sul "Tempo", nel quale, presentando la propria produzione ceramica, precisava che "la mia forma plastica dai primi agli ultimi modelli non è mai dissociata dal colore. Le mie sculture sono state sempre policrome. Colorivo i gessi, colorivo le terracotte. Colore e forma indissolubili, nati da un'identica necessità". Nell'opera, acquistata nel 1932 alla Galleria del Milione, l'uso del color oro sul volto dei tratti appena accennati e la rea sintetica della capigliatura, definita da pochi segni ruvidamente incisi nella terracotta, ben rappresentano il "primitivismo un po' ingenuo ed arbitrario" di Fontana, un arcaismo istintivo e di matrice espressionista, diverso da quello archeologizzante più diffuso nel clima novecentesco dei primi anni trenta. [Mariella Milan]