Cella # 7 fa parte di una serie di sculture, realizzate in diversi materiali (acciaio, rame, alluminio ...) che riproducono le linee essenziali di un ambiente carcerario, le cui misure (2 x 3 m) corrispondono alle reali dimensioni del celle di detenzione del braccio della morte della famigerata prigione di Huntsvillle, in Texas. In questa rappresentazione virtuale della cella le linee architettoniche sono continue e quasi senza interruzioni. Questo lavoro mostra l'immagine dell'insieme degli oggetti d'uso più essenziali che garantiscono il minimo di sopravvivenza in condizioni di isolamento. Nulla può quindi essere spostato o modificato, nulla può suggerire una possibilità di scelta per l'individuo che è al suo interno. L'opera rappresenta un "capolavoro" del funzionalismo modernista, in cui esiste una corrispondenza esatta tra l'ambiente che è stato concepito e organizzato, e lo stile, la sua filosofia. Il paradosso consiste nella complicità che si instaura tra la maschera estetica di un sistema giudiziario, come forma e linguaggio estremo, eccessivo di ogni potere politico, e la storia del gusto e delle sue convenzioni, compresa quella architettonica, che è forse, tra tutte forme d'arte, ciò che sfocia nel mondo reale con possibilità più persuasive; precisamente come un linguaggio di potere. Nel caso particolare di questo esempio n. 7, i quindici endecasillabi dell'Infinito di Giacomo Leopardi attraversano le linee della struttura architettonica, con lo scopo di richiamare la condizione spazio-temporale dell'individuo.
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