Alla fine degli anni cinquanta Bonalumi condivide con Enrico Castellani e Piero Manzoni quelle proposte di rinnovamento che vengono raccolte e dichiarate nella rivista Azimuth: un azzeramento totale delle esperienze artistiche a loro precedenti.
Così l’artista spoglia dell’inessenziale l’oggetto-quadro e regredisce felicemente alla sola tela, il cui biancore viene mosso increspandone la superficie con sagome di legno e metallo inserite sul retro. Le tele estroflesse diventano così la cifra stilistica di Bonalumi, che impiega centine e bacchette d’acciaio sempre diverse, in un’indagine ossessiva sugli effetti di luci e ombre.
L’Estroflessione bianca su cartone esposta testimonia la persistente sperimentazione dell’artista: «Io uso il lavoro su carta per forzare i limiti della mia ricerca: posso sbagliare e buttare via. La carta è il luogo dove azzardo sconfinamenti dalla mia linea»
(PEGORARO, 2003, p. 9). E su questa carta Bonalumi alita un “vento di monocroma irrequietezza”. Testo di Cristina Antonia Calamaro Bibl: Agostino Bonalumi. Carte 1960-2002, a cura di S. Pegoraro, Catalogo della mostra (Mantova, 20 gennaio - 9 marzo 2003), Mantova 2003.
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