L’avventura critica di Agostino Carracci, a cui questa opera viene attribuita, si distanzia inesorabilmente dal destino del fratello minore Annibale, capofila riconosciuto dell’arte bolognese ed emiliana nel tardo sedicesimo secolo. Tuttavia, il talento di Agostino, che fu anche eccelso incisore, non è affatto disprezzabile, benché si sviluppi in modo più calmo rispetto alle geniali invenzioni del realismo del fratello. Così, in questo bel ritratto di gentiluomo, scopriamo un’adesione franca ai sottili moti dell’anima che il volto, seppure immobile, suggerisce e sottintende. Anzi, in certo modo, Agostino precorre un’arte più moderna, facendo sì che i dettagli del quadro, in apparenza convenzionali, abbiano un impatto diretto su chi guarda, suggerendo più che descrivere. Possiamo d’altronde notare alcune affinità tra questo piccolo dipinto e uno dei capolavori dell’autore, ovvero il suo autoritratto in guisa di orologiaio. La bizzarra unione di un atteggiamento e di una passione ci mostra quanto il pittore fosse attento al ritmo sottile ma implacabile che pervade le nostre esistenze, e che si traduce in un equilibrio di colori capace di veicolare un’immagine veritiera di vita.
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