Nel 1918, dopo i transiti di Napoli e Verona, Felice Casorati si stabilisce definitivamente a Torino, recependo fin da subito un clima propizio alle sue ambizioni artistiche che ne favorisce il rapido inserimento. Perfettamente in linea con l’indole sobria e misurata della città, la sua pittura si dà una disciplina nuova: si asciuga e si sfronda di certe esuberanze di matrice mitteleuropea, che ne avevano caratterizzato la precedente stagione per via della vicinanza con gli artisti di Ca’ Pesaro, fra i primi ad accostarsi a quella esperienza d’oltralpe. “Ragazza con scodella” marca felicemente l’avvio torinese dell’artista, documentandone l’avvenuta mutazione stilistica in direzione del definitivo superamento della precedente stagione secessionista. Quel linguaggio dal grande potenziale estetizzante svapora ora in un lessico più asciutto e composto, di geometrica nettezza, in cui la figura umana viene trattata al pari degli altri elementi della composizione, in un rapporto non più gerarchico ma di coordinazione all’interno di questa rinnovata strategia compositiva dove il tempo e l’azione paiono congelati. In “Ragazza con la scodella”, come in tutte le opere di Casorati, a essere determinante è la componente mentale, un filtro straniante che trasfigura i ritrattati, gli oggetti e i luoghi, spesso prelevati da una quotidianità anonima e banale, e li colloca in atmosfere sature di ansia, attesa e malinconia, ammantate da una luce irreale e misteriosa. Desolazione, nel caso del dipinto, accentuata dalla spoglia ambientazione e dalla prolungata prospettiva rampante che, moltiplicando gli spazi, amplifica proporzionalmente il disagio dell’unica presenza umana.