Allestita come una cappella, la stanza di Nicola
Samorì accoglie opere nelle quali alcune icone – di
matrice rinascimentale e barocca – vengono sottoposte
a un violento processo di deformazione. Distante
da ogni incanto idealizzante e contemplativo,
l’artista intende la pittura come pelle da scorticare,
per fare emergere una sorta di nuda verità
emozionale. Rivelatrice la controfacciata – una
sorta di maestoso retablo, ispirato all’Atlante di Aby
Warburg – che accoglie l’Archivio della Memoria, in
cui sono sistemati dipinti, sculture e una privata documentazione
fotografica.
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