L’opera che state osservando ha bisogno, per esistere nel pieno delle sue funzioni, proprio di voi. Occorre azionarla, premendo il pulsante apposito, per percepirla davvero; ecco che allora compaiono dei raggi di luce che danzano su assi concentrici e ci appaiono come punti luminosi in corsa sulla superficie. Ciò che veramente accade è che una luce emessa dal fondo dell’opera venga schermata da dischi rotanti, schermanti ma rigati in modo da permettere alla luce di passare solo in dati punti e momenti. L’opera agisce: mentre la guardiamo non utilizziamo il nostro solito approccio frontale e non cerchiamo più di cogliere dettagli e particolari. Dimentichiamo di rispecchiarci e anche di riconoscere: la nostra capacità visiva entra in azione e contribuisce a creare l’opera. Come? Ciò che percepiamo, andamenti e curve, è solo una sintesi che il nostro cervello opera, attraverso la vista di qualcosa che accade ed è in movimento. “Il motore è lo strumento più idoneo per sentire il tempo” dice infatti l’artista; anziché un’esperienza complessiva e unitaria, ne facciamo una organizzata sul tempo e su continui impulsi visivi. Essa è proprio resa possibile dall’uso di materiali meccanici, industriali, assemblati perché utili e funzionali e non evocativi. L’opera è un oggetto seriale che funziona in maniera meccanica: a renderlo unico e irripetibile siamo noi, il nostro sguardo, il nostro tempo speso differentemente. Questa è la ricerca in comune, dal 1960, di esponenti del Gruppo T di Milano. Negli anni sessanta, a conclusione di questa esperienza di gruppo e parallelamente alla sua ricerca di artista, Grazia Varisco lavora come progettista grafica all’Ufficio Sviluppo della Rinascente di Milano, dove era consulente anche Bruno Munari, a testimonianza di come la ricerca di questi artisti verso una percezione attiva, consapevole e condivisa, non si sia fermata al manifesto artistico ma abbia operato in tutti i campi possibili in cui forma e spazio condizionano realmente il pensiero, bisogni e comportamento dell’uomo. (FMC)