L’Ortolano - Giuseppe Arcimboldo -
Olio su tavola, 35,8 × 24,2 cm. Cremona, Museo Civico Ala Ponzone. Il celebre dipinto, noto come L’Ortolano, entrò a far parte delle
collezioni del museo di Cremona con il nucleo originale dell’eredità
del marchese Giuseppe Sigismondo Ala Ponzone nel
1842 e ne costituisce una delle maggiori attrattive.
La composizione a capriccio, o rabisch, era già stata codificata
in ambito manieristico lombardo dal pittore e trattatista
milanese Giovan Paolo Lomazzo che, nel suo Trattato della
pittura del 1584, citava Giuseppe Arcimboldo proprio come
uno specialista del genere. Lomazzo si riferiva in particolare
alle teste reversibili: una sorta di metamorfosi ovidiana, che con
una rotazione di 180° mutava completamente il contenuto e il
significato dei dipinti.
Nel nostro caso la tazza di ortaggi si trasforma in un ritratto
ilare e giocoso del custode degli orti, una sorta di irriverente
Priapo preposto alla fecondità e alle forze rigeneratrici della
natura, cui sembra alludere l’ambigua disposizione di una cipolla,
una rapa e una radice a evocare la sessualità maschile.
Il recipiente in forma di tazza che contiene i vegetali diviene, a
seguito della rotazione, una specie di caschetto; le abbondanti
foglie fluenti barba e capelli, due funghi formano le labbra carnose,
una noce e una nocciola gli occhi, la cipolla e la rapa le
guance carnose, e la radice prominente il naso-fallo, secondo
l’analogia descritta nel trattato di fisiognomica di Giovan Battista
Della Porta (De humana physiognomonia, 1586) per il quale
nasus correspondet praeputio.
Dagli antichi inventari sappiamo che capricci analoghi figuravano
anche nelle collezioni imperiali: come un vaso di fiori,
descritto nella collezione di Massimiliano II, che una volta capovolto
diventava un volto ridicolo; o il ritratto di Johann Ulrich
Zasius realizzato con scritte, documenti, lettere, contratti e memorie. L’inventario del gabinetto di curiosità del castello di
Praga menzionava dipinti di Arcimboldo del tutto simili all’Ortolano
di Cremona, come una testa composta di vegetali e una
fatta di rape, ma la loro descrizione troppo sommaria non permette
di identificarli con l’esemplare in questione.
Diversamente da quanto ritenuto in passato, le tracce grafiche
sulla tazza non sono interpretabili come i resti di una firma,
bensì di un pentimento intervenuto in fase pittorica a correggere
il disegno delle foglie, inizialmente debordanti sul recipiente
ma che avrebbero forse reso meno comprensibile la sua
trasformazione in copricapo. Pertanto sembra plausibile l’idea
che il pittore sia pervenuto gradualmente alla concezione di
una testa reversibile e non senza successive modifiche in corso
d’opera ancor oggi parzialmente visibili.
Per quanto riguarda la datazione dell’Ortolano la critica
più recente ritiene possa trattarsi di un dipinto realizzato poco
dopo il suo rientro a Milano dalla corte asburgica di Praga
(1587), e probabilmente con leggero anticipo rispetto al ritratto
di Rodolfo II come Vertumno del 1590. La precisione tecnica
e la conduzione pittorica vi appare infatti in linea col naturalismo
sperimentale delle notissime serie degli Elementi e delle
Stagioni eseguite alla corte cesarea di Rodolfo, ma non ancora
con l’algido rigore formale quale appunto distingue il ritratto
fitomorfo dell’imperatore realizzato appunto in quell’anno.
Mario Marubbi
Conservatore Pinacoteca Ala Ponzone, Cremona