Attribuito ad Angelo di Giovanni da Verona, l’edificio risale all’ultimo quarto del Quindicesimo secolo. Lo schema ripropone un modello molto frequente nell’architettura privata veronese di questo periodo, ovvero una facciata monumentale avanzata sul fronte strada che delimitava il cortile interno, attorno al quale era organizzato l’edificio residenziale.
La facciata, suddivisa in tre registri, è caratterizzata al piano terra da un maestoso portale archiacuto strombato, finemente modanato, costituito da tre diversi tipi di marmo locale.
Il piano nobile appare particolarmente fastoso grazie alla presenza di due imponenti bifore in stile veneziano, impreziosite da raffinate colonnine centrali a tortiglione, da capitelli fioriti e da trafori nelle aperture trilobate.
La facciata fu affrescata verso il 1590 da Michelangelo Aliprandi, che seguì la struttura architettonica: tra le due bifore si legge ancora il policromo con il Banchetto di Damocle, negli intervalli laterali i festoni e, dentro le nicchie incorniciate, la statua di Marte sulla sinistra, mentre il gruppo di Venere e Amore sulla destra è perduto.
Al secondo piano si trova la scena monocroma del Giudizio di Salomone; al lato, entro specchiature a finto marmo, si legge la figura monocroma di Minerva, mentre quella di Diana, dipinta in posizione simmetrica, è perduta.
Si deve invece a Tullio India il Vecchio la decorazione del registro inferiore della facciata che presenta un fregio continuo, a tralci policromi, animati da putti che cavalcano pantere.
L’apparato decorativo è completato, alla sommità del portale, dallo stemma della Famiglia sorretto da due putti.
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