Elena Damiani
Nata a Lima, Perù, nel 1979.
Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca.
The Victory Atlas (da sinistra a destra):
The World 1, 2012
The Heavens 1, 2013
Europe, 2013
The World 3, 2013
Mexico, 2013
The World Time Zones, Cables and Wireless Stations, 2013
The Heavens 2, 2012
Elena Damiani appartiene a una giovane generazione di artisti peruviani che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali per la loro capacita di affrontare problemi storici. Damiani, seppur formata in Europa, presenta le sue opere con uno stile globale facilmente riconoscibile, anche se il riferimento alla sua terra di origine può apparire meno evidente rispetto ai lavori di altri artisti della sua generazione. Il paesaggio peruviano di Damiani è saturo di miti e di storia contemporanei, di simbolismi e di materialità. Quegli stessi paesaggi sono stati esplorati a fondo durante la colonizzazione, in particolare dalle spedizioni scientifiche del XIX secolo, e vengono riconosciuti come opera di antiche culture indigene che hanno realizzato alcuni dei più celebri simboli architettonici, comprese le costruzioni di Machu Picchu e le linee di Nazca. D’altra parte il Perù è stato anche, e in un certo senso è ancora, teatro delle crudeltà della colonizzazione.
Al di là di queste normali associazioni, tuttavia, il Perù è un Paese caratterizzato, in epoca moderna, dall'esplorazione delle risorse minerarie. Ed è qui che la ricerca di Damiani di una cosiddetta “geologia estetica” intreccia presente e preistoria. La sua opera più recente, la serie Rude Rocks, unisce il suo interesse per quella che l’artista Robert Smithson ha definito “la terra come museo” ai suoi studi plastici degli strati geografici. Le formazioni rocciose sono microcosmi in cui si possono leggere le incerte origini della terra. Se abbinate ai dati che registrano la storia della terra, tuttavia, le rocce sono soggette a ogni tipo di ipotesi, scientifiche o di altra natura. I nuovi lavori di Damiani, come spiega lei stessa, sono come Il libro di sabbia di Jorge Luis Borges, una storia che non ha principio ne fine. Si tratta di una storia aperta a ogni tipo di intervento e alterazione anche se, in sostanza, resta sempre la stessa.
In questa prospettiva Rude Rocks è come un incubo entropico: tutto è destinato a restare inalterato. Questo potrebbe spiegare come mai Damiani, anziché continuare a creare interventi site-specific in paesaggi antichi, abbia deciso di occuparsi dell’ibridazione di design moderno e di interpretazione della preistoria. La sua nuova serie, di conseguenza, permette alla razionalità di riflettersi come in uno specchio deformante. A suo tempo Robert Smithson aveva proposto una rilettura delle opere del pittore francese Paul Cezanne, chiedendo ai visitatori di intraprendere un viaggio all’inverso dalla tela allo studio, per poi tornare al paesaggio, il soggetto dell’artista. Damiani, in modo analogo, sembra invitare il moderno a guardarsi indietro e a riflettere sulle proprie conflittuali radici ideologiche e geologiche.