«A l’atelier de Canova. Tout y est beau […]»: nel diario del suo viaggio attraverso l’Italia centro meridionale del 1819-1820, il marchese Tancredi Falletti di Barolo descrive le sue frequenti visite nello studio romano di Antonio Canova, che realizza per lui un’erma marmorea raffigurante la poetessa Saffo.
Il 22 marzo 1820 il nobile collezionista torinese annota nel diario d’aver concluso l’acquisto del marmo, pagato 100 luigi, cioè 440 scudi romani, come risulta dalla ricevuta sottoscritta da Canova lo stesso giorno.
Non è stato finora possibile accertare l’esistenza di repliche dell’erma, la cui invenzione è ripresa in un calco conservato nella Gipsoteca di Possagno, ma è certo che essa giunse a Torino quando in città doveva ancora esser viva la memoria di un’altra opera di Canova, la bella e “scandalosa” Paolina Borghese come Venere Vincitrice, collocata fino al 1814 in Palazzo Chiablese, sede del Governatore Generale del Piemonte Camillo Borghese. La Saffo venne esposta con grandissimo successo alla Mostra di Pittura e Scultura allestita nel luglio 1820 presso il Palazzo dell’Università torinese. La soluzione della capigliatura bipartita sulla fronte, con le chiome inanellate ricadenti sulle tempie, rimanda all’Elena, prototipo delle teste ideali greche canoviane.
Il 19 maggio 1838 Tancredi Falletti di Barolo legava la Saffo alla Città di Torino, disponendo nel suo testamento che dopo la morte della moglie Giulia essa fosse posta «in qualche sito apparente del Palazzo Civico. Dopo la dipartita della marchesa nel 1864 l’opera entrò a far parte delle raccolte del Museo Civico torinese.
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