«La pittura di segno è uscita dal mio desiderio di tabula rasa» (BARBERO, 2011, p. 27). Come per Sanfilippo, suo marito, l’elemento di liberazione della pittura di Carla Accardi è da ricercarsi nella rigorosa riduzione della realtà al segno, strumento di indagine del mondo nella sua essenza. La costante segnica viene reinventata di continuo dall’artista, che trasferisce i suoi grafemi artistici su diversi supporti, dalla tela alla plastica. Nell’opera esposta il suo segno si fa legno, smaltato di un grigio studiato a contrasto con il candore del muro. Il bassorilievo, voluto da Jan Hoet per il Museo di Herford, ingigantisce a due metri e mezzo d’altezza i segni che “si dividono invano” sviluppandosi “con spostamenti lievi” per dodici metri sulla parete bianca, come a comporre un messaggio per lo spettatore: «Il segno non è sfogo inconscio, ma […] linguaggio di comunicazione. […] Esiste in rapporto ad altri segni formando con essi una struttura […] e acquista un magico e intelligente significato» (IVI, p. 56). Testo di Cristina Antonia Calamaro Bibl: Carla Accardi. Segno e trasparenza, a cura di L.M. Barbero, Cinisello Balsamo 2011.