Giacomo Ginotti esordì nel 1877 all’Esposizione nazionale di Napoli con la «Schiava», opera realizzata a Roma dove lo scultore si era trasferito dopo aver vinto una borsa al collegio Caccia di Novara, e ove avrebbe dimorato sino al 1885, prima di far rientro a Torino. Lo «sforzo violento che la schiava fa per spezzare le sue catene» sembrava al critico «più apparente che reale»: «il movimento comincia energicamente alle spalle, poi si estingue e si ammollisce gradatamente fino ai polsi; la linea del fianco è irresoluta, ma il petto chiuso fra le braccia è bellissimo»: l’apprezzamento per le qualità fisiche e palesemente erotiche del simulacro - «il marmo ha una superficie estremamente carnosa nelle parti nude, fino ad esser, per così dire, colorite» - si univa alla valorizzazione del suo significato ideale. L’esemplare in collezione privata torinese, proveniente da antica collezione napoletana, deve essere identificato in virtù di più liberi e raffinati particolari esecutivi come marmo autografo, firmato e datato e con un’etichetta della premiazione ricevuta all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1878; mentre quello in collezione pubblica a Torino, «più bilanciato e sintetico», va riconosciuto come opera successiva, dovuta a un esecutore che tenne a modello il gesso conservato nella Pinacoteca di Varallo. Molte repliche si eseguirono infatti di questa scultura cui arrrise grande successo, anche tramite riduzioni in bronzo dall’alta valenza commerciale. Nel 1878 a Parigi, il critico incaricato di redigere il rapporto per la selezione dell’arte moderna per l’Italia riservava una menzione a parte a Giacomo Ginotti, di Roma, e, vincendo il proverbiale sciovinismo, ammetteva che l’opera denotava qualità forse superiori a quelle di «Spartacus» di Denis Foyatier (1830), conservato al Louvre: «Cet habile statuaire dont le nom était jusqu’à ce jour à peu prés inconnu vient en effet de conquérir définitivement ses lettres de noblesse en envoyant à l’Exposition l’Emancipazione dalla schiavitù. […] Nous n’avons pas sous les yeux un marbre insensible, mais de la chair vivante dont tous les muscles semblent frémi à l’unisson; jamais statutaire n’a plus parfaitement assoupli une matière rebelle» (C. Lamarre, A. Roux, L’Italie et l’Exposition de 1878, Parigi 1878).
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