In un mondo dove si pubblicano rendering a spron battuto, come se l’immagine avesse lo stesso valore di un’opera realizzata, è sempre gratificante trovare ancora persone capaci di novità, freschezza e originalità. Realizzare qualcosa di “mai visto prima” combattendo con un software è completamente diverso dal produrre novità lottando contro gravità, budget, burocrazia, autorizzazioni, riunioni, sopralluoghi, clienti e tutte le forze reali che non possiamo piegare in modo da rettificare il risultato. L’opera di Sánchez García rappresenta prima di tutto una grande iniezione di ottimismo nella capacità di gettare nuova luce sui vecchi temi ricorrenti con i quali l’architettura è chiamata a misurarsi.
Il suo lavoro è potente, quasi grezzo. Il suo linguaggio è quello delle strutture e dei materiali che affrontano la realtà senza filtri. Ma si tratta di una forza gentile nei confronti del contesto. Al centro di un bosco incontaminato, propone un edificio sospeso a forma di anello, che sembra dissolversi nella natura. Nel denso centro storico di una città spagnola, costruisce intorno a un antico tempio romano una struttura semplice e massiccia, che funge allo stesso tempo da sfondo e da balconata per ammirare le rovine. Grazie a interventi semplici e precisi un serbatoio d’acqua interrato si trasforma in un centro giovanile. In ognuno di questi casi l’architetto tiene in considerazione il contesto preesistente e seleziona con cura le condizioni da salvaguardare e sviluppare e quelle da modificare attraverso l’architettura. È capace di bilanciare il linguaggio del luogo con un linguaggio estraneo vivificante, senza scomparire con falsa modestia, né stravolgere negligentemente l’esistente con l’inserimento di una dimensione completamente nuova.
È evidente che Sánchez García non è interessato a produrre “forme” dal segno riconoscibile. La sua opera annovera un’ampia gamma di forme e linguaggi architettonici: dal massiccio edificio in pietra in un quartiere densamente costruito, alla leggera struttura metallica presso un lago isolato, nel suo lavoro non c’è un progetto preordinato, nessuna forma preconfezionata che interrompe in modo insofferente senza ascoltare. Eppure si scorge una sorta di “scrittura” riconoscibile, soprattutto nell’immediatezza della costruzione che fa sì che ciascuno dei suoi progetti stabilisca un dialogo adulto con la realtà. Una qualità che abbiamo il disperato bisogno diventi una tendenza diffusa per i luoghi dove viviamo, in città o nella natura.