In questa opera, Padova non intende illustrare un brano di paesaggio concreto, bensì desidera trascendere il dato oggettivo e optare per una lettura non realistica di quanto lo circonda. Un groviglio di arborescenze ed increspature si dilata, in apparente disordine, nello spazio della rappresentazione e i toni brillanti di verde, mescolati a tocchi di tinte più scure, conferiscono dinamicità alla raffigurazione. Il dipinto, databile al 1977, costituisce l'esempio di un costante dialogo con la poetica informale, nonostante l'esperienza di tale corrente, ufficialmente, termini nel 1963 e il pittore procede nella sua personale riflessione su quanto proposto dall'arte europea a partire dagli anni Cinquanta; come è prassi per l'artista, egli trae ispirazione dal paesaggio padano, a lui ben noto, e dai suoi colori, tuttavia, la natura viene indagata per svelarne gli aspetti inconsueti. Il colore, che diviene materia densa e corposa, aggrovigliata per sovrapposizioni, il cui spessore risulta tangibile e rimanda alla reale consistenza della vegetazione; l'immaginazione del pittore, insieme ad una trama di segni magmatici, e alla forza espressiva delle tinte utilizzate determinano uno scorcio di paesaggio distante sì dalla realtà, ma per questo poetico, misterioso e coinvolgente. Il soggetto in questione si fonde e si amalgama con lo sfondo blu; il ricorso alla ristretta gamma cromatica dei verdi e dei blu è meditata, voluta, in quanto rimanda all'integrazione degli elementi naturali quali acqua, aria, terra e cielo.
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