Il dipinto raffigura l’eroe ateniese nell’atto di abbattere il Minotauro all’interno del labirinto. La raffigurazione del mostro cretese con il corpo taurino e il busto umano, e non, come nella leggenda, con la testa di toro e le altre membra d’uomo, appare alquanto singolare.
Non si tratta, tuttavia, di un caso unico: ritroviamo la medesima iconografia, ad esempio, in una miniatura di Benedetto Bordon, conservata alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, che precede di un ventennio il dipinto di Cima.
Appare interessante, inoltre, il modo nel quale il pittore risolve il problema della raffigurazione della lotta all’interno della prigione che rinchiudeva il Minotauro: l’artificio del muro rotto, sulla sinistra, svela la scena e il labirinto è immaginato come una costruzione a cerchi concentrici, o a spirale, a cielo aperto.
Il dipinto, recentemente restaurato, è di qualità assai elevata. Cima, ispirandosi a modelli classici, riesce a rendere in modo efficace il moto dei corpi nella concitazione della lotta: Teseo balza in avanti con la spada alzata per colpire ancora una volta il Minotauro che, in una delle invenzioni più felici del dipinto, volge indietro la testa con uno scatto repentino, sottolineato dallo scompigliarsi della chioma. L’uso di una luce naturale, dall’intonazione calda, è quello caratteristico della maturità di Cima, che sviluppa in modo originale la lezione naturalistica di Giovanni Bellini.
La tavola faceva probabilmente parte del medesimo ciclo, destinato a ornare un cassone o la testata di un letto, cui appartengono anche le Nozze di Bacco e Arianna, opera anch’essa conservata al Museo Poldi Pezzoli. La datazione per entrambe le tavole è probabilmente da situarsi intorno al 1505.
S.G.C