Marcel Broodthaers
Nato a Bruxelles, Belgio, nel 1924; morto a Colonia, Germania, nel 1976.
Ha vissuto e lavorato fra Dusseldorf e Berlino, Germania, e Londra, UK.
Marcel Broodthaers è stato un poeta e artista concettuale belga che esercita tuttora una notevole influenza sull’arte contemporanea. Avendo vissuto in prima persona gli orrori della seconda guerra mondiale, da ragazzo Broodthaers scrisse poesie e preferì lavorare isolato, pur conoscendo bene le opere dei surrealisti belgi, compresi i poeti Paul Nouge e Marcel Lecomte, e il pittore Rene Magritte. Nel 1957 Broodthaers terminò il suo primo poeme cinematographique e l’anno successivo cominciò a pubblicare articoli con sue fotografie originali. Nel 1964, a quarant’anni, smise del tutto di scrivere poesie e, negli ultimi dodici anni di vita, si concentrò soltanto sulle arti visive.
Pense-Bete (Promemoria) (1964) è un’opera rivelatrice che piange la perdita della parola scritta. È una scultura in gesso dall’aspetto sgradevole, che cementa cinquanta volumi invenduti delle sue poesie, rappresentandoli come fossero rocce sedimentarie che si erodono lentamente nel corso del tempo e non verranno mai più lette. L’opera, invece, mette in risalto la propria materialità e la doppia funzione del gesso che sembra proteggere e, allo stesso tempo, far tacere i meriti del linguaggio.
Nella sua arte, Broodthaers ha spesso puntato il dito verso le contraddizioni insite nei materiali, negli oggetti e nelle immagini, creati per uno scopo mentre si piegano a un altro. Adorava ridisporre sintatticamente le parti per dare vita a sensazioni ambigue di insieme. Oggetti e motivi, come l’aquila, appaiono ripetutamente nel corpus delle sue opere visive, ma non raggiungono mai il livello di icone. Broodthaers allarga il divario fra un manufatto e il suo significato, liberando gli oggetti e abolendo le idee oppressive che avanzano pretese su questi.
Nella sua serie più ambiziosa, Decors (1974-1976), Broodthaers ha assunto il ruolo dello scenografo per presentare installazioni sceniche inquietanti e private della loro narrativa drammatica. Si tratta di critiche istituzionali, nello specifico delle mostre retrospettive che storicizzano e incapsulano la carriera di un artista nel passato. Nel loro essere artificiali, i Decors sono pessimisti e giocosi al contempo. Luci forti, palme in vaso e arredi scenici del XIX secolo formano una parodia della rievocazione storica, mentre eventi solenni e documenti sono classificati nella categoria delle culture rappresentative del consumo e del divertimento. Se Broodthaers sconcerta gli spettatori con l’opacità e la scarsa armonia delle sue installazioni, li invita nello stesso tempo a soffermarsi sulla loro negazione dei significati e a usare la fantasia nella consapevolezza della forza instabile della storia. Uno di questi Decors, in mostra alla Biennale di Venezia, è Jardin d’Hiver (Giardino d’inverno) (1974). L’installazione è formata da trentasei palme in vaso, sedici sedie pieghevoli, sei fotografie in bianco e nero trovate dall’artista, due vetrine con stampe d’arte, oltre a un catalogo, un tappeto e un malinconico filmato autoreferenziale.