Sono diversi i piani di lettura attraverso i quali è possibile interpretare l’opera di Tilt. Quello che risulta essere al centro dell’indagine dell’artista francese è senz’ombra di dubbio la natura primordiale del gesto artistico del graffito. La sua ricerca artistica è da sempre focalizzata su questo tema: lasciare una traccia, il proprio nome, in numerose parti del mondo e sulle superfici più disparate. I throw – up spesso vissuti come mera imbrattatura vengono da Tilt provocatoriamente decontestualizzati, estrapolati e inseriti in contesti inconsueti dove acquistano una bellezza nuova, spiazzante e disorientante. In questa ricollocazione le tag risultano concettualmente ed esteticamente legittimati, creando così un cortocircuito con il pregiudizio negativo a loro associato. All’interno delle ex caserme la sua ricerca si spinge oltre: non è in atto una mera decontestualizzazione ma una rimodulazione delle superfici destinate a queste azioni. Le grandi finestre diventano così le superfici su cui l’artista interviene. I numerosi throw-up colorati sulle finestre rievocano le grandi vetrate delle chiese gotiche e ci conducono in una dimensione sacrale. Il riverbero della luce sulle pareti e sul pavimento e la parete principale con i profili in negativo delle finestre ci inducono al rispetto e alla contemplazione. La grande parete dipinta è contrapposta ad un’esposizione di fotografie raffiguranti i finestrini della metro di Roma e di altre città del mondo e la firma dell’artista; lo spettatore è costretto ad attraversare per intero il padiglione così da indagare lo spazio intero.