Nel 1911 Adolfo Wildt è uno scultore impegnato nel superamento della plastica ottocentesca a favore di un complesso recupero della scultura antica rivitalizzata dal confronto con le correnti artistiche più avanzate del suo tempo. Una delle sue opere di quel periodo, purtroppo perduta, è Vir Temporis acti, l’uomo del tempo passato: una figura di soldato che si percuote con lo staffile, simbolo del dolore autoinflitto, e della redenzione e nobiltà del sacrificio, in cui la potente memoria dello scolpire michelangiolesco e dei nudi antichi tanto ammirati da Wildt nelle aule di Brera, si colora di dettagli decorativi di stampo secessionista e di un acceso pathos espressivo. Da questo marmo, realizzato per il suo mecenate tedesco Franz Rose e andato distrutto durante la seconda guerra mondiale, Wildt isola e replica più volte, come nella scultura conservata alla Galleria d’Arte Moderna, il solo dettaglio del volto, rendendo ancor più intensa la rappresentazione del dolore, insieme remotamente arcaico e assolutamente moderno. L’opera chiude il percorso del museo lanciando un ponte ideale verso le inquietudini del Novecento.