Tra il 1959 e il 1962 il giovane Kounellis, trasferitosi da qualche anno a Roma, dove conclude gli studi accademici iniziati ad Atene, licenzia una serie di opere in cui lettere, cifre e segni occupano asimmetricamente lo spazio bianco della tela o del foglio di carta. Contrariamente alla sequenza chiusa di numeri che, negli stessi anni, Jasper Johns riprende in più occasioni per evidenziare l’ortogonalità del supporto dipinto, la scrittura di Kounellis anela a uno spazio libero, indifferente ai confini del quadro. I primi anni di sperimentazione, contraddistinti da un’intensa attività, sono vissuti nel tentativo di colmare tale divario: sforzo perseguito depurando la gestualità di Jackson Pollock e Franz Kline da ogni residuo intimistico e assecondando gli stimoli visivi provenienti dal contesto urbano. Il rifiuto di uno spazio costretto entro i margini della tela è alla base delle esibizioni che accompagnano la nascita di queste opere. Scritti per essere cantati più che declamati, i fogli erano fissati su telaio e, in parte, tagliati in forma di costumi. L’artista greco, indossando la propria pittura e canzonando le difficoltà linguistiche incontrate da chi adotta un nuovo alfabeto – così come avvenne in occasione della prima mostra alla Galleria La Tartaruga di Roma nel 1960 – aggiornava l’immagine di Hugo Ball e, più in generale, le poesie fonetiche dei dadaisti del Cabaret Voltaire.