La scena ha la vastità della savana africana che Ligabue reinventa con una flora: l’alto solitario albero dai ciuffi a ombrello, le alte foglie di una ricca vegetazione in cui gli eventi sono immersi, dando così il senso di assistere ad un momento in parte segreto, e l’orizzonte che a gradazioni orizzontali si allontana verso una fila di alberi che rappresenta la foresta ed un cielo azzurro arrossato da calde vaporose nuvole che annunciano il tramonto o l’alba. Un branco di zebre scappa spaventato e, in primo piano una leonessa dalle fauci spalancate insegue una di loro raccolta su sé stessa nello sforzo di sfuggirle, con evidente il terrore espresso negli occhi. In cielo, ad equilibrare la complessa composizione, un grande uccello ad ali spiegate, quasi una mitica fenice, si alza in volo. Nell’insieme un sottile riferimento realistico risolto come atmosfera paesaggistica alla serenità e atemporalità della quale contrastano la leonessa e la sua vittima. Gli animali in primo piano sono deformati per accentuare il senso del dramma, la velocità e la ferocia con cui l’attacco del felino avviene. Mentre tutta l’opera è declinata per fasce orizzontali, i due protagonisti indicano una decisa linea obliqua da destra a sinistra che sconvolge la serenità dei piani e il loro trascorrere verso l’orizzonte lontano. Solo poche parti della leonessa sono sottolineate con una linea scura e lo stesso vale per la zebra assalita ed alcune foglie nelle immediate vicinanze. La ferocia delle fauci è accentuata da un eccesso di peli sul muso, che nel loro biancore diventano ancora più minacciosi. Tutto il quadro, per il resto, è invece risolto con l’uso dei colori accostati tra loro con estrema eleganza e agile pennellata. Proprio questo uso linguistico del segno/colore conferisce alla scena una atmosfera di sospensione e di realtà facendone quasi una sequenza cinematografica graduata sui diversi piani.
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