Nel corso della Prima Guerra Mondiale molte industrie tra cui la Siemens-Halske, facente parte del gruppo Siemens, si impegnarono nella costruzione di motori che potessero essere utilizzati dalla Luftstreitkräfte, l'aeronautica militare tedesca. Per soddisfare le crescenti esigenze di motori con potenze maggiori, soprattutto in alta quota, per l'impiego su velivoli da caccia, la Siemens-Halske, dopo aver prodotto i precedenti motori Sh.I ed Sh.II, nell’autunno del 1916 iniziò lo sviluppo di un nuovo modello, l’Sh.III, sotto la guida dell’ing. Franz Dinslage. Come i suoi predecessori, l'Sh.III era un motore a stella di tipo “birotativo”; tale impostazione costruttiva era peculiare dei motori Siemens-Halske di quel periodo. A differenza dei contemporanei motori a stella rotativi in cui l’albero a gomiti era solidale al telaio ed il blocco dei cilindri solidale all’elica ruotava attorno ad esso, nel motore birotativo le parti interne quali biella madre, bielle e albero a gomiti, giravano in senso orario (visto frontalmente) mentre il blocco dei cilindri e l'elica ad esso connessa, girava in senso antiorario. I vantaggi di questa particolare soluzione costruttiva consistevano nel poter avere una riduzione delle sollecitazioni meccaniche per il fatto che gli organi del motore raggiungevano, in condizioni normali, una velocità di rotazione di 900 giri/minuto, corrispondente però, ai fini della potenza erogata, ad una rotazione relativa di 1800 giri/minuto. Inoltre, poiché le principali masse rotanti del motore avevano verso di rotazione uguale ed opposto, l’effetto giroscopico era sensibilmente ridotto (rispetto ad un motore rotativo) con grande beneficio sulla manovrabilità del velivolo. Inoltre, la ridotta velocità di rotazione (900 giri/minuto) garantiva una riduzione delle perdite per attrito con l’aria derivante dalla rotazione dei cilindri ed un incremento dell'efficienza dell’elica al valore di circa il 68%. Il motore Sh.III venne costruito anche in versione “surcompressa” denominata Sh.IIIa, avente un rapporto di compressione superiore per ottenere prestazioni maggiori ad alta quota. Tale modifica comportava però la necessità di limitare opportunamente la potenza a terra per salvaguardare l’affidabilità del motore. Il principale svantaggio del motore birotativo era la conseguenza del ridotto numero di giri in quanto si riduceva l'efficienza del raffreddamento dei cilindri. Le conseguenze di tale problema, usura precoce e rotture anomale, si resero più gravi verso la fine del conflitto per la mancanza di forniture di olio di ricino, usato come lubrificante ed il conseguente uso del "Voltol", un sostituto derivato da oli minerali ma avente qualità inferiori. Durante il conflitto l’Sh.III era prodotto sia dalla Siemens-Halske sia dalla Rhemag di Mannheim su licenza. I motori costruiti da quest’ultima risultarono migliori dal punto di vista dell’affidabilità e vennero impiegati nei velivoli operanti al fronte. Nonostante tutto, l’Sh.III è stato per la sua epoca un motore tecnicamente avanzato e capace di notevoli prestazioni in termini di potenza massima erogata, consumo specifico e rapporto massa/potenza. Nel settembre del 1918 un caccia Siemens-Schuckert D.IV (fig.3) equipaggiato con motore Sh.IIIa fece registrare una prestazione ragguardevole per la sua epoca raggiungendo da terra la quota di 8100 metri in 36 minuti.