Jean Fautrier dà forma e consistenza agli orrori della guerra - vissuti in prima persona durante l’occupazione tedesca in Francia - con gli Otages, una serie di opere composta da una trentina di esemplari, realizzati tra il 1942 e il 1945, ed esposta quasi integralmente presso la galleria Drouin di Parigi. In questi lavori, che traducevano nel contempo la drammatica situazione della contingenza storica durante il conflitto e quella più generale della condizione dell’uomo novecentesco, l’umanità in preda agli istinti più feroci perdeva con la descrittività fisiognomica la sua riconoscibilità, per assumere quella fisicità violata e lacerata della materia informe, simile ai brandelli di carne di un corpo massacrato. Una materia recante le stigmate profonde della sofferenza e del tormento; così come una lenta tortura doveva sembrare il lavorio con cui l’artista ricavava le sue immagini dalla carta disposta sul tavolo, amalgamando con le spatole il bianco di Spagna e la colla, ultimate con un leggero strato di olii coloranti. Questi volti sfigurati, privati di ogni connotazione umana, aprono la strada a quella che diventa la sua cifra espressiva caratterizzante, dove la materia aspra e brutale gioca sempre un ruolo determinante, sebbene col tempo l’impianto cromatico delle sue opere tenda progressivamente ad alleggerirsi e a perdere i connotati più drammatici dei lavori iniziali. Questo processo di schiarimento è ravvisabile in Angles, dove la pasta grumosa e rilevata si stacca come un bassorilievo dal fondo magro, disponendosi con una tramatura grigliata che evidenzia una diversa volontà di geometria spaziale.
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