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gria e di sfrenatezza, che in realtà non esiste se non come gioco
di movenze in questo nuovo modo di cogliere il bello, l'armonia
nel brutto e nello sfrenato.
La figura di Sileno è tutta impostata sulla rappresentazione della
sue grave e pesante corporatura. Gli aggettivi hanno un che di cor-
poso che potrebbe far pensare a un'esigerz a plastica. Ad osservare
bene mi pare che il P. tenda a trasfigurare in confronto a Ovidio
e allo stesso Magnifico, il rilievo e la concretezza pesante di Si-
leno, ponendovi quelle due note coloristiche veramente geniali:
"Con vene grosse nere e di mosto umide,
marcido sembra sonnacchino e gravido:
le luci ha di vin rosse enfiate e fumide."
L'attenzione poggia soprattutto anzichè sulla descrizione puramente
fisica dell'uomo enorme, sull'atteggiamento di questi, di cui coglie
rapidamente tre momenti: il primo di sonnolenza pesante ed ebbra,
il secondo in cui tenta aggrappandosi ai crini del cavallo, di non
cadere, il terzo in cui gli cade sul collo, perso ormai ogni equili-
brio: ad aiutarlo si mostrano solleciti i satiri. Ed è chiudere
felicemente un quadro questa entrata finale che completa la svena
già movimentata dalle ninte. Il grottesco più accentuato che ne
precedente, è tutto risolto nella coerenza del linguaggio. Per mag-
gior vivezza, a differenza di Ovidio, qui sono le ardite ninfe che
"18 asinel suo pavido pungon col tirso" invece del generico "malus
e ques" ovidiano, e ancora efficacissimo il verso: He lui con le man
tumide, ai crin s'appiglia", che coglie un particolare vivamente fi-
gurativo. E infine, più sintetico di Ovidio, "casca nel collo e
i satiri 10 rizzano' invece del "in caput auriti cecidit delapsus asel-
11" dove ad esempio quell'auriti, rimane piuttosto generico e smor-
to. Mentre qui tutto giunge a compitezza figurativa: la gravida
figura di Sileno, l'asinello pavido in contrapposizione alle ardite
ninte, i satiri che giungono in soccorso del vecchio. In queste due
scene c'è un'arte consumata e perfetta, una misura e un potere di tra-
sfigurazione costante, che tutto impregna di sè. Come i gesti di
paura, di timore, restavano tanto più suggestivi in quanto privi di
contenuto effettivo, così questi vivono non in quanto espressione di
allegria o ebrezza, perchè quello che ferma lo sguardo del P., è il
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