Matteotti percorre a piedi dieci chilometri e rientra a mezza
notte a Rovigo dove lo attendevano alla sede della Deputazione
provinciale per la proroga del patto agricolo il cav. Piero Men-
tasti, popolare, l'avv. Altieri, fascista, in rappresentanza dei pic-
coli proprietari e dei fittavoli; Giovanni Franchi e Aldo Parini,
rappresentanti dei lavoratori. Gli abiti un poco in disordine, ma
sereno e tranquillo. Solo dopo che uscirono gli avversari, rim-
proverato dai compagni per il ritardo, si scusò sorridendo:- 1
m'ha robà. Aveva riconosciuto alcuni dei suoi aggressori, tra gli
altri un suo fittavolo a cui una volta aveva condonato l'affitto:
ma non volle farne i nomi. Invece assicurò che mandanti dove.
vano essere il comm. Vittorio Pelà di Castelguglielmo e i finzi
di Badia, parenti dell'ex-sottosegretario di Mussolini.
Poiché si parlò e si continua a parlare di violenze innomi-
nabili che
Giacomo Matteotti avrebbe subito in questa occasione
è giusto dichiarare con testimonianza definitiva che la sua sere.
nità e impassibilità, di cui possono far testimonianza i nominati
interlocutori di quella sera, ci consentono di escludere il fatto e
di ridurlo ad una ignobile vanteria fascista.
La storia di questo rapimento è tuttavia impressionante e
perciò abbiamo voluto raccoglierne da testimonianze incontesta-
bili tutti i particolari. Finchè non ci sarà descritta l'aggres.
sione di Roma il ricordo di questa prova può dirci con quale
animo Matteotti andò incontro alla morte. Ne aveva il presen-
timento.
A Torino il giorno della conferenza Turati un profugo veneto
gli chiese:
- Non ti aspetti una spedizione punitiva da qualche Fari-
nacci?
Rispose testualmente cosi :
- Se devo subire ancora una volta delle violenze saranno
i sicari degli agrari del Polesine o la banda romana della Pre-
sidenza.
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Come segretario del Partito Socialista Unitario aveva condotto
la lotta contro il fascismo con la più ferma intransigenza. Rimane
il suo volume: Un anno di dominazione fascista, un atto d'accusa
completo, fatto alla luce dei bilanci, e insieme una rivolta della
coscienza morale. E fu Matteotti a stroncare, non appena se ne
parlò, ogni ipotesi collaborazionista della Confederazione del La-
voro: non si poteva collaborare col fascismo per una pregiudi.
ziale di repugnanza morale, per la necessità di dimostrargli che
restavano quelli che non si arrendono. Come segretario del partito
pensava al collegamento, animava le iniziative locali, le coordi-
nava intorno a questo programma. Compariva dove il pericolo
era più grave, incognito suo malgrado, a dare l'esempio. Talvolta
osò tornare in Polesine travestito, nonostante il bando, con peri-
colo di vita, a rincuorare i combattenti.
IL VOLONTARIO DELLA MORTE
Egli rimane come l'uomo che sapeva dare l'esempio. Era un
ingegno politico quadrato, sicuro; ma non si può dire quel che
avrebbe potuto fare domani come ministro degli interni o delle
finanze: ormai è già nella leggenda.
Ho letto una lettera di un lavoratore ferrarese, scritta il 16
giugno:
« Come puoi figurarti qui non si parla di altro e i giornali
non fanno in tempo ad arrivare in piazza perchè sono strappati
ai rivenditori e letti avidamente. La deplorazione è unanime e il
risveglio non più nascosto. Pare che l'incantesimo della paura sia
infranto e la gente parla senza titubanze. La perdita però porterà
i suoi frutti di libertà e di civiltà che renderanno allo spirito eletto
del nostro Grande la pace e la gioia per il sacrificio compiuto.
Matteotti era un uomo da affrontare la morte volontariamente se
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