Acquistata nel 1933 alla "IV Mostra del Sindacato Regionale Fascista delle Belle Arti di Lombardia" allestita alla Permanente di Milano, l'opera è stata successivamente sempre datata allo stesso anno. Dopo una prima formazione artistica in ambito mantovano, gli studi visivi tra l'Accademia di Belle Arti di Firenze e quella milanese di Brera, dove era stato allievo di Adolfo Wildt, e l'anno di perfezionamento all'Ecole des Beaux-Arts di Parigi, Bergonzoni tornò in Italia nel 1928 e stabilì il proprio studio alla periferia di Milano, in via degli Imbriani. "Bambina che gioca" è una delle pochissime sculture che, realizzate durante gli anni trenta, non siano andate disperse o distrutte dall'artista stesso. È dunque una rara testimonianza di come la terracotta, che sarebbe rimasta sempre il mezzo espressivo d'elezione, fosse impiegata in quegli anni dall'artista in una ricerca plastica che - in modi non dissimili, per certi versi, dal Fontana della "Signorina seduta", con il quale nel 1932 Bergonzoni aveva condiviso lo studio - declina temi quotidiani secondo un diffuso registro arcaizzante, e per la quale la critica ha spesso chiamato in causa una delicatezza di tocco affine all'ingenuità pittorica dei cosiddetti chiaristi. Nel dopoguerra Bergonzoni, tornato a Mantova dal 1942, aderì alla poetica del realismo, dedicandosi a una figurazione incentrata sul tema del lavoro e della fatica, vicina a quella del conterraneo Giuseppe Gorni nel "chiudersi scontroso di certe immagini", per poi orientarsi, alla fine degli anni cinquanta, verso una ricerca astratta. [Mariella Milan]