Dopo la stagione da lui stesso definita dubitativamente “realista?” (O. Licini a G. Scheiwiller, 1929), che attraversa interamente gli anni Venti, con lo schiudersi del nuovo decennio, Licini si volge all’astrazione. Sul finire del 1931, di passaggio a Parigi, entra in contatto con le diverse tendenze non figurative che proprio allora si andavano raccogliendo, nella capitale francese, attorno a Cerle et Carré – il gruppo fondato da Michel Seuphor e Torres Garcia, nella cui rivista uscita in tre numeri nel corso del 1931 sono pubblicati, fra gli altri, interventi e opere di Mondrian, Vantogerloo, Arp, Russolo, Prampolini e Schwitters. Tuttavia, è probabilmente a partire da un momento precedente che nella ricerca di Licini il rapporto con il referente naturale si era andato prosciugando, per dissolversi in una sintassi totalmente astratta, che si differenzia tanto dalle esperienze geometriche francesi quanto da quelle degli artisti italiani gravitanti attorno alla Galleria del Milione di Milano, con cui Licini entrerà in contatto nel corso del 1935. Come scrive Fabrizio D’Amico, Licini “rovescia le quiete composizioni dei compagni, le loro algide sintassi di spazi scanditi, in bilichi periclitanti, in assetti quasi scherzosi, in ritmi allusivi, ammiccanti, frananti”. L’astrazione è infatti per Licini “l’arte dei colori e delle forme libere, liberamente concepite, ed è anche un atto di volontà e di creazione, ed è, contrariamente a quello che è l’architettura, un’arte irrazionale, con predominio di fantasia e immaginazione, cioè poesia”, com’egli stesso rivela nell’autopresentazione della mostra personale tenuta al Milione nel 1935.