Composition T, 50-5

Hans Hartung può essere considerato per ragioni anagrafiche – essendo di quasi una generazione più anziano di Mathieu e Soulages –, oltreché per precocità stilistica, l’antesignano europeo di quelle ricerche convenzionalmente accorpate sotto l’insegna dell’“Informale segnico”. L’iniziale amore per il disegno a carboncino e acquerello, ben presto indifferente alla figurazione, evidenzia nella scelta tecnica un’urgenza espressiva da tradursi con immediatezza espressiva. Trasferitosi in Francia in seguito dell’ascesa di Hitler, ha modo di approfondire la conoscenza dei cubisti e astrattisti, sebbene, nonostante l’ammirazione dichiarata per quelle avanguardie, non sono tanto le squadrate forme chiuse e prismatiche del Cubismo o astrattamente calibrate e liriche di Kandinskji a influenzarlo profondamente, quanto le ricerche sull’automatismo psichico dei surrealisti. Dopo gli orrori della guerra, esperiti prima tra i ranghi della legione straniera, quindi con l’internamento e la prigionia, e culminati con l’amputazione di una gamba, riprende a dipingere, riversando sulle tele i patimenti sedimentati durante quei passaggi dolorosi. La prima personale arriva solo nel 1947, allestita nella galleria di Lydia Conti a Parigi. Occorre tuttavia ricordare come il ciclo di opere astratte programmaticamente denominate, a fugare ogni tentazione descrittiva, con lettere capitali, l’anno di esecuzione e la numerazione conseguente, compaia già intorno alla metà degli anni Trenta. Lavori che nascono come irrefrenabili esternazioni liberatorie in cui l’energia creativa deflagra sulla tela in spedite forme saettanti. Paradigmatico della cifra di Hartung a queste date Composition T, 50-5 ha il suo epicentro tensionale nella banda bianca da cui si diramano le linee centrifughe, originate dalla collisione delle due porzioni di colore, quella azzurra e quella marrone, spirito e materia, vero big-bang emozionale della composizione. La ricerca successiva si esprime attraverso fasci di linee graffiate e ostinatamente sferzate, ottenute con l’uso di spatole e scopre di saggina create dall’artista stesso, addizionando forme per sottrazione di colore alle campiture di fondo. Tra i ricordi dell’infanzia Hartung racconta di quando bambino era costretto a condividere le fobie della nonna, soprattutto quelle per i fulmini – di cui soleva riempire interi quaderni tracciando rapidi segni a zig-zag – e per i gatti. Forse non è un caso che l’artista trovò la sua identità stilistica capendo che, per tenere lontani gli spettri del passato, occorreva essere più veloce di una saetta e graffiare come un gatto.