omaggi che, insolita-
Il Giornale 11. ottohe: 1992
V
Spoleto ospita una retrospettiva di Marisa Busanel
Comunque donna
Lorenza Trucchi
andai a trovarla la prima vol-
ta, in un sinistro seminterra-
to della estrema periferia)
che, osserva Mascelloni nella
sua acuta introduzione al ca-
talogo, «per l'incomprensio-
ne del suo particolare lin-
guaggio nelle molte ricogni-
zioni dedicate di recente al-
l'arte romana del '60, è stata
pressoché espulsa o tutt'al
piú relegata nelle recintate
selezioni pour femmes».
Ora quello che non va re-
cintato o virgolettato e quin-
di, usato come una discrimi-
nazione, ma semmai esaltato,
evidenziato, è proprio quel
suo essere donna e fare un'ar-
te inequivocabilmente al fem-
minile. Non, dunque, una ca-
renza, né una negativa ipote-
ca qualitativa ed espressiva,
all'opposto un accrescimen-
to. Marisa Busanel non osta-
cola mai la propria natura
femminile, anzi vi si abban-
dona in uno svelamento di sé,
di volta in volta, intrepido e
dolente, candido e impudico.
C'è nella essenza femminile
una astoricità (ampiamente
ripagata da una maggiore na-
turalita) ed io credo che sia
questo grumo intimo, istin-
tuale a rendere cosí insolito il
lavoro della Busanel, pur pre-
cocemente in linea con il cli-
ma «oggettuale» che, alla fine
degli anni Cinquanta, caratte-
rizza il passaggio dell'Infor-
male al New Dada e al No-
veau realisme.
Figlia di attori itineranti,
Marisa Busanel nasce a Ve-
nezia nel 1933; ancora bambi-
na entra nella Compagnia di
Baseggio. Nel '51 viene a Ro-
ma, dove frequenta l'ambien-
te letterario ed artistico: sarà
per anni la compagna di
Leoncillo. Abbandonato il
teatro inizia a disegnare e di-
pingere. Nel '59 crea dei colla-
ges di fili e, quindi, i «Veli»,
pezzi di stoffa leggera con
strappi ricuciti, bianchi faz-
zoletti macchiati di colore e
segnati da grafismi impulsi-
vi, che inchioda su tavole di
legno. Vengono poi i «Vesti-
ti», forse la serie piú originale
ed inquietante. Ripiegata su
se stessa, Marisa analizza il
el folto programma
della prossima Bien-
nale, spiccano due
mente, non
sono dedicati ad
artisti ma a critici: Carla Lon-
zi ed Emilio Villa. Lasciatosi
alle spalle gli studi filologici
(dall'assiro al sanscrito, all'e-
braico) e le traduzioni della
Bibbia e dell'Odissea e pubbli-
cato nel '47 da Luigi De Luca
(Istituto Geografico Tiberi-
no). Oramai, un volume di liri-
che, talune anche in dialetto
milanese, con cui Emilio Villa
iniziò nell'immediato dopo-
guerra la sua intensa, libera,
dissipata militanza critica. C'è
sempre, nei suoi scritti genia
li, magmatici, extra-vaganti,
almeno una frase che da sola
basta a svelare e spiegare
compiutamente un artista.
Eccone un esempio mirabile
estratto dalla presentazione
che il critico-poeta fece alla
prima personale di Marina
Busanel (Studio Delta, aprile
1965, Roma) e ora opportuna
mente riprodotta nel catalogo
della retrospettiva dell'artista
allestita a cura di Enrico Ma-
scelloni, alla Galleria civica
d'arte moderna di Spoleto:
<...Siamo qui insieme, scrive
Villa a evocare lo squarcio
bianco a mandorla bianca sul
ventre della madonna di Piero
della Francesca, vicino a Città
Castello, e qui insieme a rie-
vocare la cerniera lampo, la
chiusura lampo, inventata da
Alberto Burri, perché Burri ci
ha inventato un po' tutti noi
quanti siamo...).
In questo accostamento ar-
dito (e allora piú ardito di og.
gi) spiazzato e spiazzante, in
questo raccordo tra secoli
lontani ma di una comune,
fonda, non rinnegabile civiltà
di immagine, in questo ri-
chiamo sacro e profano, ca-
sto e sensuoso all'identità
femminile, è delineata e rac-
chiusa un po' tutta l'opera di
Marisa Busanel. Un'artista
appartata, segreta e per lun-
ghe stagioni volontariamente
segregata (mi ricordo quando
proprio essere. Gli oggetti
che salva «in memoria», com-
piendo giorno dopo giorno
uno sconsolato voyage au-
tour, de sa chambre sono po-
chi, umilissimi: una sottove-
ste di nylon, un grembiulino
da bambino, una camicia da
uomo, un vecchio busto, un
vestito da donna un po' mo-
nacale, indumenti che im-
merge nel colore e crocifigge
su rozze tavole, rozzamente
dipinte. Il risultato è un colla-
ge mastodontico che eviden-
zia al massimo l'oggetto in
una sorta di spettrale pietrifi-
cazione al limite dell'onirico.
Queste veroniche del quoti-
diano con la loro forza tre-
menda quanto inconsapevo-
le, creano un ponte tra sur-
realismo e ricerche oggettua-
li, unendo Burri a Rauschen-
berg e all'arte povera. Dopo
un lungo periodo di inattivi-
tà, la Busanel riprende a di-
pingere una serie di «grandi
fiori e di «nudi femminili
visti di spalle. Anche qui l'im-
magine è macroscopica ma
con una «inversione di se
gno che dà luogo ad una mi-
te estasi. Nella metà degli an.
ni Settanta la sua ricerca si fa
piú razionale, fredda: nasco-
no le «Geometrie» (purtrop-
po non esposte a Spoleto) do-
ve torna talvolta ancora os-
sessiva l'immagine della cro-
ce. Fino all'ultimo (1990) fe
dele a se stessa, Marisa Busa-
nel ha continuato il viaggio
intorno alla propria stanza e
dentro il suo cuore. Con una
preveggenza che oggi fa tre-
mare, Leoncillo scriveva nel
'65: «In Marisa il conflitto di-
venta espressione, è tutto nel
l'espressione, chiede ansio-
samente comunicazione e
aiuto a vivere ancora. O a po-
ter morire... Questi quadri re-
stano la testimonianza di an-
ni veri, di anni umani feroce-
mente vissuti, il cui prezzo
pagato alla verità è dovuto es-
sere dissipazione e follia».
«Marisa Busanel», Spole-
to, Palazzo Racani Arroni,
Galleria Civica d'Arte Mo-
derna, fino al 31 ottobre.
Catalogo Mattia
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