Im Heung-soon
Nato a Seul, Corea del Sud, nel 1969.
Vive e lavora a Seul.
Attraverso il suo lavoro, Im Heung-soon cerca di ascoltare e comprendere le perenni lotte di coloro che sono stati abbandonati per il bene del progresso economico, tanto nei Paesi in via di sviluppo quanto nei Paesi asiatici come Corea del Sud, Vietnam e Cambogia, che tuttora vivono in condizioni postbelliche. Le sue prime opere, come il progetto di ricerca urbana Seongnam Project (1998-1999) e i cortometraggi Basement My Love (2000) e Memento (2003) – oltre al suo impegno di lunga data per progetti a base comunitaria –, hanno spesso indagato scenari di classificazione e problemi che riguardano gli operai immigrati delle industrie, comprese le minoranze sociali, nella rapace società neoliberale coreana. Il suo film Jeju Prayer (2012) rivisita l’insurrezione dell’isola di Jeju, durata dall’aprile 1948 al maggio 1949, quando migliaia di cittadini vennero massacrati nel processo di sradicamento del comunismo portato avanti dall’esercito sudcoreano. La realizzazione di questo film ha acuito la consapevolezza dell’artista riguardo il trauma vissuto dalle donne anziane, testimoni di quella brutale violenza; la macchina da presa si sofferma in particolare sul loro ostinato silenzio. Osservando il rapporto fra la fittizia retorica nazionale sul sacrificio delle persone e coloro che sono stati uccisi, trascurati e ridotti in povertà dal regime autoritario, Im Heung-soon esamina in che modo sono ricordate oggi le ferite del sacrificio dei civili nella storia recente.
Alla Biennale di Venezia, Im Heung-soon presenta un nuovo lungometraggio documentario, Factory Complex (2014), nel quale riflette su come le donne siano diventate vittime della realtà lavorativa in Asia. Il film si apre con una manifestazione per le strade di Seul di gruppi di operai immigrati, poi si occupa dello sfruttamento del lavoro nella Corea del Sud degli anni settanta e ottanta e termina rivelando un altro momento buio della storia recente: i colpi d’arma da fuoco diretti a donne sottopagate che protestavano in Cambogia contro una fabbrica di abbigliamento sudcoreana. Factory Complex espone il passato oscuro e il presente delle grandi aziende globali coreane, che voltano le spalle alle miserevoli condizioni di lavoro. La storia attraversa generazioni di madri e figlie, dai Paesi in via di sviluppo del passato a quelli del presente. Grazie a interviste con operaie coreane dagli anni settanta a oggi, il film indaga sulle misere condizioni di un lavoro senza fine che abusa delle nostre vite sotto la bandiera del neoliberalismo, contribuendo soltanto ad acuire le nostre ansie. Cosi facendo, l’artista mostra le vite di indigenti che non possono essere migliorate neppure con un lavoro incessante, in particolare quelle delle donne che sono emarginate in ogni condizione lavorativa.
Alle interviste, solenni e rivelatrici, con coloro che hanno guidato le più accese lotte e dimostrazioni, l’artista affianca immagini che mostrano una realtà difficile e spietata, e un’agonia emotiva impossibile da esprimere a parole. Presentando il punto di vista delle donne che hanno sofferto in questa difficile realtà, il film si pone un’importante domanda: da cosa e costituita una vera “crescita” sociale in un’economia in espansione?