Gorni è artista vero. Celebre per le sue sculture, che in gran parte raffigurano personaggi del mondo contadino padano, egli fu anche eccellente pittore e disegnatore. In tutte le tecniche che seguì, egli dimostrò un potente e sincero atteggiamento creatore, dalle radici in gran parte metafisiche. In particolare, la sua pittura degli anni Venti e Trenta può essere accostata a quella di Carlo Carrà, anche se il quistellese manifesta una più solida attitudine nel comporre spazi e costruire figure. Nell’opera che qui ammiriamo il quotidiano lavoro dei campi immobilizza le possenti donne ritratte in una serie di atteggiamenti insieme tipici e dolenti, mentre i covoni di fieno assumono tinte dal rosso all’arancio stagliandosi sotto un meraviglioso cielo azzurro e sopra un terreno simile ad una scura lastra marmorea. La grandezza di Gorni sta appunto nel fermare i gesti mantenendo tuttavia la tensione profonda della fatica e della condizione umana. Alludendo quindi alla lunga giornata di lavoro, e all’eternità in cui ogni dettaglio del corpo grida la propria appartenenza ad un’anima universale.