Marcel Janco, nato Hermann Iancu, è parte integrante della generazione di autori geniali che fondarono il cosiddetto movimento Dada. In particolare, egli collaborò insieme ad Arp e Tzara alla nascita del Cabaret Voltaire, la taverna di Zurigo in cui nel 1916 vennero esposti oggetti provocatori e pitture stravaganti, così da sconvolgere una volta per tutte il panorama dell’arte tradizionale e creare la più innovativa fra le avanguardie. Egli quindi prosegui la sua avventura di intellettuale raffinato, inserendosi nel grande alveo del Surrealismo europeo. Poi, le persecuzioni contro gli ebrei lo costrinsero a fuggire dall’Europa, ormai divenuta terribile matrigna, e a rifugiarsi in Israele dove visse per il resto della sua esistenza. La sua produzione successiva, così come l’opera che ammiriamo, va inquadrata come dicevamo nella vasta area del Surrealismo internazionale. In particolare, questa tavola lo avvicina all’arte di Max Ernst. Simile è infatti la capacità di entrambi di produrre un mondo onirico, in cui la fantasia è padrona assoluta senza che per questo sia l’arbitrio a governare il pennello. Al contrario, tale universo veicola idee profondissime insite nell’essere umano, archetipi potenti che ancora dimorano nella nostra mente e soprattutto quella libertà d’invenzione che al cittadino contemporaneo spesso è preclusa.