Massimo Campigli è artista dalla doppia vita. Nato a Berlino da giovanissima madre tedesca, che dissimulò a lungo il proprio stato anche agli occhi del figlio, il suo vero nome è Max Ihlenfeldt. Già dalla prima infanzia, però, egli vive a Firenze. Avrà sempre come paese d’elezione l’Italia, nonostante i diversi e numerosi viaggi che lo porteranno a frequentare Parigi per lungo tempo, in due distinti periodi. Celebre per le sue invenzioni di carattere metafisico, in cui appaiono serie di donne e di ragazze stilizzate, con un vago sentore etrusco oppure greco arcaico, egli mira a formare una specie di pattern che vive sulle variazioni dei singoli elementi. Campigli ha infatti due doti fondamentali: la capacità di stilizzazione e la musicalità nella composizione. Questo gli regala un ruolo importante e fortemente caratterizzato nella pittura italiana fra le guerre e nel dopoguerra. Nell’opera che qui ammiriamo, la grande caraffa è risolta in modo lievemente cubista, anche perché rispecchiata dal vaso più piccolo. La natura morta si esprime sulla base di linee essenziali, che scompongono i piani della visione e la rendono vera. La consueta capacità di sintesi dell’autore si ravvisa in ogni particolare, ma specialmente nella stesura degli stessi fiori, che si trasformano in raggruppamenti geometrici capaci di offrire un profondo equilibrio al disegno.