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Galleria La Strozzina, Oggetto 60

Carla Lonzidicembre 1956 - giugno 1957

La Galleria Nazionale

La Galleria Nazionale
Roma, Italy

Inviti e depliant di mostre collettive e personali tra cui Barbaro, Berlinguer, Berti, Caponi, Chiaromonte, Davico, Flarer, Galvano, Hollesch, Loffredo, Paola Mazzetti Krampen, Pistelli, Raphael Mafai, Saroni, Viviani e sull'arte grafica contemporanea negli Stati Uniti tenutesi alla Galleria La Strozzina di Firenze.

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  • Title: Galleria La Strozzina, Oggetto 60
  • Creator: Lonzi Carla
  • Date Created: dicembre 1956 - giugno 1957
  • Transcript:
    La Cina vista da Raphaël Quello che ha visto, la Raphaël in Cina, sarà certamente molto di più di quel disegnato e modellato con l'ingenuo fervore che è dote rara nei giovani, incredibile che ha dipinto, disegnato e modellato, ma, quel che è certo, ogni cosa ha dipinto se sopravvive nella piena maturità di un artista. Ne è venuta fuori una Cina, quella degli acquarelli su carta millimetrata, che è una favola di immagini vegetali, ar- boree, edilizie, talmente in chiave di fantasia da non potersi appellare ad altra realtà vivente di quella che propone. La Raphaël ha ritrovato la stessa vena di quei primissimi anni, che si sono prodigiosamente allontanati nel ricordo, in cui il suo estro, accendendosi su oggetti da bric-a-brac, su dei tagli senza trucco di paesaggi comuni, servi di cosi memorabile esca agli artefici focati di Scipione e ai primi oscuri concepimenti di Mafai. La mostra che ella, di quei dipinti ritrovati, fece a Roma due anni or sono, fu veramente una mostra di cimeli. Tanto più meraviglia di trovare ora, in questi recentissimi acquarelli, un egual senso di nativa e miste- riosa favola, come, da bambini, credo tutti abbiano provato nei piatti azzurri del- rold China, cosi insensati e cosi prodighi di eventi, nel ponticello, nei cinesini, nel tempio che pare un inginocchiatoio e l'albero tutto pomi e niente foglie. Con naturalezza, e, questo ne fa la lode suprema, senza forzature espressio- nistiche, eila trova i colori piu squisitamente strampalati fuori dagli oggetti che li posseggono in proprio, il rosso dei cocomeri, il giallo delle margherite, l'azzurro della genziana; e certe nuvole come festoni, e tutto un pigolio di segni sconnessi e trepidi, per cui il foglio millimetrato - unica concessione alla industrializzazione della Cina - si perde in se stesso, nel proprio indescrivibile labirinto. Finché, con uno scatto inatteso, passa al ritratto ad acquarello che forse è il pezzo più cospicuo di questa Mostra, il Ritratto del pittore Chi-Ba-Sce Né la Raphael si è contentata di disegni e di acquarelli: ha riportato anche delle sculture. Dato che in questo campo si è particolarmente meriteta una fama nazionale, si deve dire che la realizzazione di talune risente dell'appunto che non si addice invece alla plastica assai densa, da essere talora come costipata, che è sua propria, ma che richiede un'elaborazione troppo più lunga. Cosi può sembrare curioso, il fatto che risultano quasi piu cinesi certe passate sculture delle figlie, che queste, tratte direttamente dalla Cina: perché cinese, allora, non si riferisce solo agli occhi a semi di mela, ma alla densità che evoca una figuretta Ming, al profilo non schiacciato ma compresso di una statua Tang. E tuttavia con la testa, quasi una maschera, del Saggio cinese, la Raphaël ritrova il momento migliore, l'espres- sione più matura, cinsomma tello che fa di lei, sen autentica scultrice italiana. di dubbio, l'unica CESARE BRANDI Raphaël e la Roma 1930 Raphaël Mafai appartiene alla cronaca avventurosa del decennio 1920-30: quello che Maurice Sachs chiamo a la decade dell'illusione in un libretto che resta il più spiritoso Abbecedario artistico dell'epoca. Nata in Lituania, studentessa di musica e diplomata in pianoforte all'Accademia Reale di Londra, poi insegnante di inglese, amica dello scultore Jacob Epstein, la Raphaël si sposta verso il 1924 a Parigi, vi bazzica l'ambiente artistico, e un anno dopo eccola in Italia, esploratrice fanatica di Roma in compagnia di Mafai e di Scipione, e pittrice improvvisata, autodidatta, primitiveggiante, espresionista o surrealista, secondo l'mprecisa aggettivazione dei critici. È il . coup-de foudre ? Non sarà il solo nell'esistenza di questa bohémienne eternamente disponibile, che non riesce ad essere in pace neppure col proprio nome. Sono di quegli anni alcune vedute romane, col Foro, il Colosseo, l'Arco di Co- stantino sotto la neve, le pendici romite del Palatino, dove compare per la prima volta una Roma in rosso e nero, su cui spiega i suoi colori di icona il romanticismo di quell'ora vespertina che diventerà nei quadri di Scipione un'ora torbida, sen- suale o tenebrosa. La novità, la stranezza, l'accento lirico di questa pittura non sfugge ai critici, che storpieranno magari il nome della pittrice, ma non mancano di segnalare questo curioso impasto di romanticismo e di gusto popolare, nel grano di folklore orientale che la giovane lituana si porta attaccato alle suole delle dove è percepibile soprattutto un sue scarpe di slava. Corrado Pavolini paragona questi piccoli paesaggi a dei poe- metti in prosa maudits , e Roberto Longhi inventerà per essi una Scuola di Via Cavour che preannunzia la futura e più consistente Scuola romana Rivedendo qualcuno di questi poemetti maudits dipinti verso il 28-29, e confrontandoli mentalmente con la Meretrice romana, il Castel Sant'Angelo o il Principe cattolico di Scipione, o con certe composizioni dove più tardi Mafai sperimenta una pittura a base di miele, di cera vergine e petrolio, ci accorgiamo che la parte della Raphaël nella storia di quel sodalizio non fu di subalterna ma di rivale (della riva vicina) e forse di generosa incubatrice. In questi quadretti si scopre finalmente l'origine di quella specie di esaltazione introdotta dai romani nel- l'ambiente del 900, e insomma l'aura poetica nella quale la Scuola cresce e le- gittima la propria esistenza. Non ne concluderemo troppo sbrigativamente che senza questo lievito orientale, senza questo soffio di petetismo ebraico arrivato sulle ali di Chagall, senza questo grano di pepe bizantino, Scipione e Mafai sarebbero stati diversi o non sarebbero stati affatto. L'influenza probabilmente fu reciproca. Però è vero che una pagina dell'ultima pittura romana non sarebbe stata scritta, o sarebbe stata scritta con altri inchiostri, Come si spiega che, dopo una partenza cosi lusinghiera, la Raphael sia rimasta una pittrice clandestina o addirittura inedita? È una storia lunga che riassumeremo brevemente: la persecuzione razziale e la guerra. Una parte dei suoi quadri, inviati a Londra per una esposizione presso la Galleria Redfern, cadono nel trambusto di quegli anni e non si trovano più; il resto brucia con lo studio di Epstein durante i bombardamenti del 1942. E quando, a guerra finita, la Raphael si riallaccia sulla scena artistica, una ennesima metamorfosi l'ha già trasformata in una scultrice piena di preoccupazioni nuove e, almeno apparentemente, diverse. Eccola qui, a cominciare di nuovo il suo curriculum, con le poche testimonianze superstiti del suo passato di pittrice, e col suo avvenire di statuaria: angosciata, straripante, piena di cattivo gusto e di rara forza psicologica, sballottata come una furia tra un intellettualismo alla Epstein, capace dei più orribili incroci, e una vo- lontà di potenza che, dopo la sofisticazione elegante dei maestri up-to-date, può sembrare spaesata. Questa scultura riapre tutti i conti con la figura umana rimasti in sospeso dopo la morte di Rodin e cresciuta nella sofferenza della diaspora - non dimentica di essere nello stesso tempo un prodotto di quest'epoca generatrice di mettiamo dire fino in fondo il nostro pensiero? Ebbene, la Raphaël e forsee senza forse il fenomeno più impressionante della scultura europea dopo Ernesto De Fiori ALFREDO MEZIO Il diario di Raphaël in Oriente La civiltà cinese antica evoca l'immagine fantastica di una natura grigia e straniera ravvivata e raggentilita da leggeri addobbi di carta, di bambù, di stoffa e di altre simili materie periture, come per un'eterna festa campestre, Bidimensio- nale, senza profondità e senza volume, il paeaggio cinese, quale lo conosciamo attraverso la pittura, pare sempre disabitato, in un pullulare pittoresco e verticale di boschi e di canneti, di monti e di colline, di cascate di nuvole; ma poi, guar- dando meglio, si scopre, quasi sepolta nella verdura, una pagoda dal tetto a bar- ciuco. I colori della Cina antica sono il rosso vivace della carta che involge i fuochi d'artifizio delle feste tradizionali; il verde lacustre, erbale delle risaie a prima- vera; il grigio rosato e prezioso dei vecchi muri di Pechino e di Canton. Al con- fronto, quanto più brutale, dura e plastica la nostra Europa. Raphael Mafai nel suo recente viaggio nella Cina di Mao-Tse-Tung ha avvertito tutto questo con pronta sensibilità di artista e acuta penetrazione psicologa. Ella ci ha dato nei suoi acquarelli più che delle notazioni di diario, quasi un'interpretazione. Il mistero brulle di Han Chu; l'incanto romito dei padiglioni sparsi sul pendio montano al- poetico di un baldacchino rosso dalle colonne violette sperduto tra le montagne l'ingresso delle grotte di Jun-Kan la solitudine negletta di una pagoda turrita a più tetti nella pianura verde nei dintorni di Pechino; l'andirivieni della Grande Muraglia su e giù per le colline dell'Ovest, hanno ridestato in Raphaël quella capacità evocativa ed espressiva di cui ella aveva già dato prova tanti anni or sono fanno tanti pittori durante questi viaggi esotici) ha voluto darci delle essenze, l'anima delle cose, insomma, prim'ancora delle cose stesse. I suoi appunti sulla Cina sono dei tentativi di giudizio sulla civiltà cinese non delle passive percezioni di forme e di colori. Cosi Raphaël d'istinto ha ritrovato la sola maniera valida di viag- giare: non attraverso lo spazio bensi attraverso la cultura. ALBERTO MORAVIA
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  • Notes: Su alcuni inviti sono presenti annotazioni manoscritte di Carla Lonzi.
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