La Cina vista da
Raphaël
Quello che ha visto, la Raphaël in Cina, sarà certamente molto di più di quel
disegnato e modellato con l'ingenuo fervore che è dote rara nei giovani, incredibile
che ha dipinto, disegnato e modellato, ma, quel che è certo, ogni cosa ha dipinto
se sopravvive nella piena maturità di un artista. Ne è venuta fuori una Cina, quella
degli acquarelli su carta millimetrata, che è una favola di immagini vegetali, ar-
boree, edilizie, talmente in chiave di fantasia da non potersi appellare ad altra
realtà vivente di quella che propone. La Raphaël ha ritrovato la stessa vena di quei
primissimi anni, che si sono prodigiosamente allontanati nel ricordo, in cui il suo
estro, accendendosi su oggetti da bric-a-brac, su dei tagli senza trucco di paesaggi
comuni, servi di cosi memorabile esca agli artefici focati di Scipione e ai primi
oscuri concepimenti di Mafai. La mostra che ella, di quei dipinti ritrovati, fece a
Roma due anni or sono, fu veramente una mostra di cimeli. Tanto più meraviglia
di trovare ora, in questi recentissimi acquarelli, un egual senso di nativa e miste-
riosa favola, come, da bambini, credo tutti abbiano provato nei piatti azzurri del-
rold China, cosi insensati e cosi prodighi di eventi, nel ponticello, nei cinesini,
nel tempio che pare un inginocchiatoio e l'albero tutto pomi e niente foglie.
Con naturalezza, e, questo ne fa la lode suprema, senza forzature espressio-
nistiche, eila trova i colori piu squisitamente strampalati fuori dagli oggetti che li
posseggono in proprio, il rosso dei cocomeri, il giallo delle margherite, l'azzurro
della genziana; e certe nuvole come festoni, e tutto un pigolio di segni sconnessi
e trepidi, per cui il foglio millimetrato - unica concessione alla industrializzazione
della Cina - si perde in se stesso, nel proprio indescrivibile labirinto. Finché, con
uno scatto inatteso, passa al ritratto ad acquarello che forse è il pezzo più cospicuo
di questa Mostra, il Ritratto del pittore Chi-Ba-Sce
Né la Raphael si è contentata di disegni e di acquarelli: ha riportato anche
delle
sculture. Dato che in questo campo si è particolarmente meriteta una fama
nazionale, si deve dire che la realizzazione di talune risente dell'appunto che non
si addice invece alla plastica assai densa, da essere talora come costipata, che è
sua propria, ma che richiede un'elaborazione troppo più lunga. Cosi può sembrare
curioso, il fatto che risultano quasi
piu cinesi certe passate sculture delle figlie, che
queste, tratte direttamente dalla Cina: perché cinese, allora, non si riferisce solo
agli occhi a semi di mela, ma alla densità che evoca una figuretta Ming, al profilo
non schiacciato ma compresso di una statua Tang. E tuttavia con la testa, quasi
una maschera, del Saggio cinese, la Raphaël ritrova il momento migliore, l'espres-
sione più matura, cinsomma tello che fa di lei, sen
autentica scultrice italiana.
di dubbio, l'unica
CESARE BRANDI
Raphaël e la Roma 1930
Raphaël Mafai appartiene alla cronaca avventurosa del decennio 1920-30: quello
che Maurice Sachs chiamo a la decade dell'illusione in un libretto che resta il più
spiritoso Abbecedario artistico dell'epoca. Nata in Lituania, studentessa di musica
e diplomata in pianoforte all'Accademia Reale di Londra, poi insegnante di inglese,
amica dello scultore Jacob Epstein, la Raphaël si sposta verso il 1924 a Parigi, vi
bazzica l'ambiente artistico, e un anno dopo eccola in Italia, esploratrice fanatica
di Roma in compagnia di Mafai e di Scipione, e pittrice improvvisata, autodidatta,
primitiveggiante, espresionista o surrealista, secondo l'mprecisa aggettivazione dei
critici. È il . coup-de foudre ? Non sarà il solo nell'esistenza di questa bohémienne
eternamente disponibile, che non riesce ad essere in pace neppure col proprio nome.
Sono di quegli anni alcune vedute romane, col Foro, il Colosseo, l'Arco di Co-
stantino sotto la neve, le pendici romite del Palatino, dove compare per la prima
volta una Roma in rosso e nero, su cui spiega i suoi colori di icona il romanticismo
di quell'ora vespertina che diventerà nei quadri di Scipione un'ora torbida, sen-
suale o tenebrosa. La novità, la stranezza, l'accento lirico di questa pittura non
sfugge ai critici, che storpieranno magari il nome della pittrice, ma non mancano
di segnalare questo curioso impasto di romanticismo e di gusto popolare, nel
grano di folklore orientale che la giovane lituana si porta attaccato alle suole delle
dove è percepibile soprattutto un
sue scarpe di slava. Corrado Pavolini paragona questi piccoli paesaggi a dei poe-
metti in prosa maudits , e Roberto Longhi inventerà per essi una Scuola di Via
Cavour che preannunzia la futura e più consistente Scuola romana
Rivedendo qualcuno di questi poemetti maudits dipinti verso il 28-29, e
confrontandoli mentalmente con la Meretrice romana, il Castel Sant'Angelo
o il Principe cattolico di Scipione, o con certe composizioni dove più tardi Mafai
sperimenta una pittura a base di miele, di cera vergine e petrolio, ci accorgiamo
che la parte della Raphaël nella storia di quel sodalizio non fu di subalterna ma
di rivale (della riva vicina) e forse di generosa incubatrice. In questi quadretti si
scopre finalmente l'origine di quella specie di esaltazione introdotta dai romani nel-
l'ambiente del 900, e insomma l'aura poetica nella quale la Scuola cresce e le-
gittima la propria esistenza. Non ne concluderemo troppo sbrigativamente che senza
questo lievito orientale, senza questo soffio di petetismo ebraico arrivato sulle
ali di Chagall, senza questo grano di pepe bizantino, Scipione e Mafai sarebbero
stati diversi o non sarebbero stati affatto. L'influenza probabilmente fu reciproca.
Però è vero che una pagina dell'ultima pittura romana non sarebbe stata scritta,
o sarebbe stata scritta con altri inchiostri,
Come si spiega che, dopo una partenza cosi lusinghiera, la Raphael sia rimasta
una pittrice clandestina o addirittura inedita? È una storia lunga che riassumeremo
brevemente: la persecuzione razziale e la guerra. Una parte dei suoi quadri, inviati
a Londra per una esposizione presso la Galleria Redfern, cadono nel trambusto di
quegli anni e non si trovano più; il resto brucia con lo studio di Epstein durante i
bombardamenti del 1942. E quando, a guerra finita, la Raphael si riallaccia sulla
scena artistica, una ennesima metamorfosi l'ha già trasformata in una scultrice
piena di preoccupazioni nuove e, almeno apparentemente, diverse.
Eccola qui, a cominciare di nuovo il suo curriculum, con le poche testimonianze
superstiti del suo passato di pittrice, e col suo avvenire di statuaria: angosciata,
straripante, piena di cattivo gusto e di rara forza psicologica, sballottata come una
furia tra un intellettualismo alla Epstein, capace dei più orribili incroci, e una vo-
lontà di potenza che, dopo la sofisticazione elegante dei maestri up-to-date, può
sembrare spaesata. Questa scultura riapre tutti i conti con la figura umana rimasti
in sospeso dopo la morte di Rodin e cresciuta nella sofferenza della diaspora -
non dimentica di essere nello stesso tempo un prodotto di quest'epoca generatrice
di mettiamo dire fino in fondo il nostro pensiero? Ebbene, la Raphaël e forsee
senza forse il fenomeno più impressionante della scultura europea dopo Ernesto
De Fiori
ALFREDO MEZIO
Il diario di Raphaël in Oriente
La civiltà cinese antica evoca l'immagine fantastica di una natura grigia e
straniera ravvivata e raggentilita da leggeri addobbi di carta, di bambù, di stoffa e
di altre simili materie periture, come per un'eterna festa campestre, Bidimensio-
nale, senza profondità e senza volume, il paeaggio cinese, quale lo conosciamo
attraverso la pittura, pare sempre disabitato, in un pullulare pittoresco e verticale
di boschi e di canneti, di monti e di colline, di cascate di nuvole; ma poi, guar-
dando meglio, si scopre, quasi sepolta nella verdura, una pagoda dal tetto a bar-
ciuco. I colori della Cina antica sono il rosso vivace della carta che involge i fuochi
d'artifizio delle feste tradizionali; il verde lacustre, erbale delle risaie a prima-
vera; il grigio rosato e prezioso dei vecchi muri di Pechino e di Canton. Al con-
fronto, quanto più brutale, dura e plastica la nostra Europa. Raphael Mafai nel
suo recente viaggio nella Cina di Mao-Tse-Tung ha avvertito tutto questo con
pronta sensibilità di artista e acuta penetrazione psicologa. Ella ci ha dato nei
suoi acquarelli più che delle notazioni di diario, quasi un'interpretazione. Il mistero
brulle di Han Chu; l'incanto romito dei padiglioni sparsi sul pendio montano al-
poetico di un baldacchino rosso dalle colonne violette sperduto tra le montagne
l'ingresso delle grotte di Jun-Kan la solitudine negletta di una pagoda turrita a
più tetti nella pianura verde nei dintorni di Pechino; l'andirivieni della Grande
Muraglia su e giù per le colline dell'Ovest, hanno ridestato in Raphaël quella
capacità evocativa ed espressiva di cui ella
aveva già dato prova tanti anni or sono
fanno tanti pittori durante questi viaggi esotici) ha voluto darci delle essenze,
l'anima delle cose, insomma, prim'ancora delle cose stesse. I suoi appunti sulla Cina
sono dei tentativi di giudizio sulla civiltà cinese non delle passive percezioni di
forme e di colori. Cosi Raphaël d'istinto ha ritrovato la sola maniera valida di viag-
giare: non attraverso lo spazio bensi attraverso la cultura.
ALBERTO MORAVIA