Boris Achour
Nato a Marsiglia, Francia, nel 1966.
Vive e lavora a Parigi, Francia.
Attratto dalla fantascienza, dalle sitcom televisive, dai fumetti, dalla letteratura e dalla poesia, Boris Achour attinge a un vasto repertorio di idee e stili che fa propri e rimodella attraverso il filtro della sua visione artistica. Nei tardi anni novanta Achour si è fatto notare con la performance Actions-peu e con alcuni allestimenti in spazi pubblici, registrando le tracce di queste altre improvvisazioni prive di un vero pubblico che non fosse quello dei passanti spontanei. All’inizio del XXI secolo, la sua arte, spostatasi dalla strada al set cinematografico e allo spazio espositivo, ha abbracciato il video e la scultura, allontanandosi da format superati, quali la videoteca (Cosmos, 2001) o il tradizionale archivio bibliotecario (The Grasshopper in the High Castle, 2013).
Iniziata nel 2006, la serie Conatus, che si richiama al concetto spinoziano di autoconservazione, è costituita da un insieme di spazi specificamente progettati, utilizzati come palcoscenici per performance, le quali sono poi registrate e trasformate in film. L’opera, articolata in diversi episodi (Trailer, Pilot, Joy, A Forest, Yes), predilige elementi minimi e ibridi che trasudano colori e forme vibranti. Incline al continuo cambiamento, questo ammiratore di Fluxus incrementa il numero di sculture e di altri assemblaggi caratterizzati da frequenti rimandi al gioco. Più recentemente, la sua opera Seances (2012), costituita da video, testo, suono e scultura, si basa sulla percezione del frammento come elemento primordiale mediante il quale collegarsi al mondo. In questo caso, immagine, suono, oggetto e scenario diventano un tutt’uno, producendo un “paesaggio/set da attraversare” nell’intento di offrire allo spettatore un’esperienza immersiva. Personaggi dormienti, scene notturne, oscurità: in Seances la presenza della notte e del sonno percorre quest’opera poetica in uno stato di veglia, in un mondo di una notte infinita.
Games Whose Rules I Ignore è il titolo della videoinstallazione che Achour presenta alla 56. Biennale di Venezia. Nel film diversi partecipanti/personaggi interagiscono con oggetti e arredi scenici, i quali sono proposti anch’essi in una proiezione/esposizione, cosi da rivelare il rapporto intercorrente fra i due mezzi. Si tratta di un rituale indefinito? Di un gioco collettivo con regole ancora sconosciute? O di un tableau vivant? Ancora una volta Achour ci apre le porte di un mondo strano, personale e immaginario.
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