In Italia Settentrionale, e in particolare a Bergamo, si sviluppa nel sedicesimo secolo una scuola ritrattistica di grandissimo peso, che trae le sue origini dal realismo del Moretto e si sviluppa poi attraverso una catena di pittori che passa da Giovan Battista Moroni al Cavagna. Questo tragitto, che percorre tutta la seconda metà del cinquecento, ha come caratteristica fondamentale l’adesione profonda alla verità della persona effigiata, che viene dipinta così com’è, senza intonazioni sentimentali e senza sottolineature enfatiche. Questo bel ritratto, ad esempio, mostra un gentiluomo dallo sguardo leggermente triste e con l’abito coperto da una mantellina di pelliccia. Può essere probabilmente datato alla fine del sedicesimo secolo, o addirittura all’inizio del diciassettesimo. Appare quindi convincente un’attribuzione a Gian Paolo Cavagna, che visse appunto a cavallo del secolo e che fu anche noto per la produzione sacra. Egli inoltre è, fra i pittori bergamaschi di seconda e di terza generazione, quello più vicino alla scuola veneta. Nell’opera presente, infatti, la capacità dell'artista di rendere la luminosità della pelle e i particolari minimi degli occhi, della fronte, dei radi capelli, della barba e del colletto bianco lo avvicina a quella sensibilità luministica che da Tiziano discende verso tanti artisti medi e minori.