Ci si prepari a perdere qualsiasi riferimento spaziale perché “niente è come sembra, niente è come appare, perché niente è reale”. Un’intricata serie di fili e geometrie ci appare all’improvviso alla fine di un articolato percorso attraverso diverse stanze, popolate da forme e stilemi artistici diversi: è una visione improvvisa che lascia spiazzati; le abituali conoscenze delle tre dimensioni sembrano saltare. Un’installazione avvolgente che ci colpisce da varie direzioni partendo, una volta entrati nella stanza, dalle nostre spalle per proiettarci in avanti senza però capire dov’è la fine. Una serie di schegge, frantumi di materia sembrano attraversarci senza mai colpirci. Lo spazio è trasformato e modificato, la rettangolare stanza ha perso i suoi angoli per fondersi in geometrie altre. Le sperimentazioni sullo spazio chiuso iniziate nella metà del secolo scorso sono state assorbite da Thomas Canto e rilette in chiave del tutto contemporanea. Solo una volta presa coscienza e confidenza con lo spazio si comprende dove finisce e inizia un dato materiale, le differenze e le contingenze, cosa invece è bidimensionale e cosa invece è tridimensionale, ma non sarà mai una conoscenza totale.