La figura della cantante afroamericana dell’epoca aurea del jazz, spentasi nel ’59 dopo una vita tormentata, viene condensata in un ritratto in cui i connotati salienti - la bocca sanguigna dalle labbra carnose, evocativa del suo timbro vocale caldo e suggestivo, il nero della pelle che trascende il puro dato somatico per significare una condizione sociale allora per i neri ancora difficile – vengono sublimati in un moderno feticcio totemico dal marcato richiamo erotico che, appeso alla parete, rimanda la memoria all’immagine dell’uomo di colore impiccato ad un albero dai bianchi cantato in una delle sue canzoni più sofferte, Strange fruit. In una Roma dove l’attenzione nei confronti della Pop Art statunitense era già viva prima del suo riconoscimento istituzionale alla Biennale veneziana del ’64, quest’opera incrocia la cultura mediterranea parlandoci di una civiltà di massa che pare trasformare tutto in merci e oggetti di consumo, quasi incapace di andare oltre la pelle delle cose.