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Hora-Carpo - Opere

Anonimo

Padiglione Italia Expo Milano 2015

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Milano, Italia

Hora-Carpo, Marmo lunense (di Carrara), I secolo d.C. con integrazioni della metà del XVI sec, altezza 1,51 m. Firenze – Galleria degli Uffizi – inv. 1914, n. 136. Da oltre quattro secoli la statua di Hora abbellisce il corridoio
di levante della Galleria degli Uffizi, spiccando, fra l’esercito di
marmi che decorano il complesso vasariano, per la finezza del
suo modellato, capace di restituire con sorprendente realismo
l’impalpabilità della veste indossata dalla giovane donna. Furono
proprio questi ”panni sottili”, del resto, a colpire maggiormente
Giorgio Vasari quando, nel 1568, la vide sistemata in una
delle sale di Palazzo Pitti, riconoscendovi l’effige di Pomona,
la dea romana dei frutti. L’uva, le pere, le melograne e le noci
che quasi traboccano dai lembi del mantello trattenuto dalla
donna sul grembo, non lasciavano dubbi, infatti, sul carattere
di questo affascinante personaggio femminile, che doveva necessariamente
essere legato alla fecondità della terra e alla forza
generativa della Natura. L’interpretazione cinquecentesca,
quindi, non coglieva del tutto fuori del segno, anche se oggi,
grazie alle altre repliche di questo tipo statuario note, siamo in
grado di essere più precisi identificando nella giovane donna
una Hora, cioè una delle figlie di Zeus e di Themis, la dea della
giustizia, che sovrintendevano ai cicli naturali dell’anno. Portatrici
dei doni stagionali, ma anche di fascino e talenti per i
mortali, le Horai presiedevano al momento della nascita degli
uomini, esercitando su di essi un’influenza benefica e salutare.
Le Horai, tre secondo la lezione esiodea (Hes., Theogonia, vv.
901 e segg.), erano, per la loro natura vivificante inevitabilmente
legate all’idea della Primavera e della rinascita della natura
dopo i rigori dell’inverno, tanto che, già negli inni omerici (Hom.,
Inno a Cerere vv, 54 e 192), sono proprio loro a riportare sulla
terra Persefone dagli Inferi, sancendo, così, l’inizio della bella
stagione. La loro azione, però, non si limitava ai frutti primaverili,
ma si estendeva a proteggere e a favorire anche le primizie
delle altri stagioni, fra cui anche quella autunnale, echeggiata
nel tipo di frutti scelti per riempire il rimbocco della veste della
statua fiorentina. La qualità del marmo degli Uffizi, databile verosimilmente
ancora nell’ambito del I secolo d.C., giustificò il ricorso allo scalpello
di un ottimo scultore cinquecentesco per integrare le parti
mancanti al momento della scoperta : la testa, parte delle mani
e la base. Il gusto dell’epoca, infatti, non ammetteva l’estetica
del frammento ed era necessario restituire sempre unità formale
ai lacerti scultorei antichi restituiti dal terreno. Anche in questo
caso, dunque, si procedette a ricomporre l’unità della figura
originaria grazie all’abile arte di uno scultore di cui, purtroppo,
ignoriamo il nome. Nonostante le integrazioni postantiche, la
statua conserva ancora molto dell’impostazione vitale e aerea
del modello classico. Il panneggio, che si immagina aderente
al corpo a causa del rapido movimento nel quale è impegnata
la donna, esalta le forme del corpo, piuttostoché nasconderle,
creando, nella parte inferiore della figura, un gioco di pieghe
mosse dal vento quasi virtuosistico per il suo andamento tormentato
e contorto. In questa descrizione della veste, impalpabile
e aderente alla muscolatura come un tessuto bagnato,
è impossibile non riconoscere l’eco dei modelli attici di scuola
post-fidiaca, che hanno nella Nike di Paionos ad Olimpia e nei
rilievi della balaustrata del tempio di Athena Nike sull’Acropoli
ateniese, i loro esempi più compiuti. Altri indizi, però, come il
gusto manierato e coloristico nella descrizione della parte inferiore
della veste, presuppongono le esperienze di un ellenismo
già maturo, lasciando piuttosto concludere che un archetipo
ellenico di III o II secolo a.C. sia stato il prototipo dal quale sono
state derivate le repliche a noi note del tipo della Hora. Nel novero
di queste copie, divise fra i Vaticani, Tarragona e Venezia,
la statua fiorentina eccelle, però, per la sensibilità con cui si è restituita la leggerezza della figura, colta in un vero e proprio
passo di danza più che in un comune incedere.
Aby Warburg, sul finire dell’Ottocento, volle riconoscere proprio
in questa scultura la fonte diretta di ispirazione da cui Sandro
Botticelli
trasse spunto per la figura di Flora raffigurata nella
sua celebre Primavera. La posizione della figura, l’atto di portare
le mani al grembo a stringere i lembi di un rimbocco colmo
di fiori, ma, soprattutto, la descrizione di una veste leggera
ed eterea sembrano, in effetti, denunciare uno stretto legame
fra questo tipo iconografico e quello rappresentato nell’opera
quattrocentesca. Concludere, però, che sia stato proprio il marmo
agli Uffizi ad aver offerto il modello per l’opera botticelliana
non è possibile dimostrarlo con certezza. Complesse ragioni
collezionistiche fanno pensare, piuttosto, che Botticelli, durante
il suo soggiorno romano, protrattosi tra il 1481 e 1482, abbia
visto altre sculture riproducenti questo prototipo statuario,
come, ad esempio, una replica del tipo, oggi dispersa, ma un
tempo nel non più esistente giardino Del Bufalo. A prescindere,
comunque, da quale sia stato esattamente il marmo visto dal
pittore, è però fuor di dubbio che la statua degli Uffizi incarni al
meglio un tipo iconografico che, con la sua leggiadria e finezza
di modellato, influenzò profondamente l’effige della Flora
quattrocentesca, esempio compiuto di quella profonda compenetrazione
fra classicità e arte moderna che è stata all’origine
del Rinascimento italiano.
Fabrizio Paolucci
Direttore dipartimento di Antichità Classica della Galleria
degli Uffizi, Firenze

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  • Titolo: Hora-Carpo - Opere
  • Creatore: Anonimo
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