"Il funerale non avrà la semplicità desiderata da Adriano. Mercoledì 2 marzo, in una luminosa giornata di sole che annuncia la primavera e fa risplendere le nevi delle montagne, il lungo corteo si muoverà per due ore da un capo all’altro della città, sostando nei luoghi delle glorie civiche e religiose: in piazza del Municipio, in piazza del Duomo. Familiari, amici, ammiratori e falsi estimatori si alternano nel corteo e nelle orazioni funebri: in fabbrica parlano Pero, Roberto, Ferrarotti, l’operaio comu¬nista Giuseppe Grosso e il sottosegretario al commercio estero Giovanni Spagnolli, a nome anche del ministro che ha sabotato Adriano in vita, Togni. La cassa è sollevata e avanza lentamente, portata a spalla da “anziani Olivetti” e da militanti comunitari, in mezzo a una grande folla, 40.000 persone, il doppio degli abitanti d’Ivrea. In Duomo, la messa è celebrata da mons. Eligio Adamini, un amico di famiglia di vecchia data. Dopo il discorso di Umberto Rossi al Comune, al cimitero l’orazione ufficiale è tenuta dallo scrittore Salvator Gotta, che non è mai stato fra gli intimi di Adriano. Sembra l’abbia deciso la famiglia, per non caratterizzare politicamente il commiato. L’ultimo saluto è però più personale, più vicino alla volontà di Adriano. Sempre a Grazia aveva detto: «Voglio una cassa di legno che sia deposta nella nuda terra». Così avviene, con la fossa scavata a guardare verso levante. Cominciando da Grazia, familiari e amici gettano sulla cassa ormai calata un pugno di terra, con un rituale non comune in Italia. Alla fine, sul tumulo è infissa una semplice croce in legno." Tratto da "Adriano Olivetti. La biografia" di Valerio Ochetto, Edizioni di Comunità 2013
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