Allo Studio Mumbai è più facile vedere alla scrivania un artigiano impegnato a testare un materiale che un progettista allo schermo di un computer o un disegnatore alla tavoletta grafica. Al contrario del tradizionale ufficio climatizzato, affollato di professionisti intenti a elaborare norme, progetti e specifiche tecniche edilizie, lo Studio Mumbai è a metà tra un cantiere di materiali e un capannone di prototipi fatti a mano e modelli a grandezza naturale, in cui artigiani e architetti lavorano insieme, simbioticamente, ripetendo e collaudando idee ed esperienze in un laboratorio aperto. Questa fusione intima tra progettazione e costruzione, mano e mente, tradizione e sperimentazione, è molto rara e porta a creazioni altrettanto inaspettate e piacevoli. Lo Studio Mumbai è riuscito a integrare nel processo di progettazione le conoscenze e competenze tecniche locali, non sulla scia di una retorica puramente intellettuale, ma come stile di vita
. Questo approccio basato sulle disponibilità locali è solitamente associato alla scarsità di mezzi e considerato accettabile solo in un contesto umanitario a basso costo. Smontando tale assunto, lo Studio Mumbai ne fa un’impostazione valida, senza distinzioni, anche nel caso di edifici destinati a una clientela ricca o a una ristretta élite. La forza e l’intelligenza del metodo risiedono nel fatto che, notoriamente, per ampliare e diffondere idee, progetti e tendenze è più efficace procedere dall’alto verso il basso e non viceversa. La borghesia guarda sempre all’esempio dell’élite e i ceti più bassi a quello della borghesia. Se l’élite è pronta ad accettare arti e mestieri locali come segno di qualità anziché insistere con le tecnologie globali, allora la strada verso la democratizzazione della qualità è spianata.