Francis Kéré è noto per le sue scuole a Gando. Cos’hanno queste in comune con il palazzo del Parlamento che presenta qui a Venezia? Chiunque abbia assistito a una sua conferenza si troverebbe d’accordo nel dire che Kéré appartiene a due mondi: quello della cultura scritta e quello della cultura orale. Le scuole e il Parlamento sono di per sé una sintesi di standard globali condivisi e valori locali specifici.
Principe della sua tribù (come simboleggiano le cicatrici sul viso), Kéré sapeva di dover tornare alla comunità d’origine dopo essersene allontanato per compiere gli studi, prima a Ouagadougou e poi in Germania. Costruire scuole è stato il suo modo di ripagare la comunità. Per la progettazione ha voluto mantenere gli standard occidentali al fine di garantire un ambiente adatto all’istruzione: doppi tetti, ventilazione incrociata, inerzia termica e frangisole per avere la giusta temperatura e le giuste condizioni di luce nelle aule. Nel passaggio alla fase costruttiva ha operato delle scelte che rispondessero ai codici locali: dovendo spiegare i disegni tecnici a persone che non sapevano leggere né scrivere – cosa tipica delle culture orali – egli “mimava” le procedure operative: se, per esempio, per fare un marciapiede, bisognava schiacciare la ghiaia con i piedi fino a farla diventare una pasta, Kéré si metteva (sia durante le conferenze che durante le spiegazioni in cantiere) a pestare il terreno per diversi secondi, per far capire il movimento necessario: non solo l’idea, ma l’esperienza. Oppure, nello scegliere il sistema di costruzione non optava per il più efficiente, ma per il più inclusivo, ovvero per il più efficiente in termini di valori locali perché consentiva la partecipazione anche alle donne e ai bambini. Lo scontro fra le due culture è arrivato nel momento in cui i finanziatori europei hanno dichiarato inaccettabile la presenza di bambini nel cantiere (lavoro minorile). Kéré ha, quindi, chiesto ai bambini di andarsene, ma la comunità si è infuriata, interpretando il gesto come una forma di discriminazione: perché ai bambini veniva negato il diritto di costruire la propria scuola? Così Kéré ha invitato i bambini a tornare.
Tale attrito fra i due mondi è emerso anche quando gli è stato commissionato il nuovo palazzo del Parlamento del Burkina Faso. Alla base del progetto c’era la promessa di un nuovo governo democratico dopo una dittatura durata ventisette anni e terminata nel 2014. Ma a causa delle lotte intestine fra le varie fazioni il progetto si è interrotto poco dopo l’inizio. Kéré è stato quindi invitato a presentare un preventivo in rapidità, ma solo pochi giorni dopo gli è stato chiesto di non tornare in Burkina Faso poiché era in corso un altro golpe militare e il presidente era in arresto. Di fronte a una simile instabilità politica Kéré ha pensato che il Paese necessitasse, più che di un edificio in cui scrivere le leggi, di un luogo dove poter discutere, di un’architettura che potesse ospitare anche la cultura orale, e non solo quella scritta della democrazia. Un altro elemento importante per Kéré era offrire una nuova prospettiva ai concittadini. Il punto di osservazione più elevato del Burkina Faso sono gli alberi alti dodici metri, che non si trovano nemmeno in città, ma in campagna. “Nessuno nel mio Paese ha mai visto le cose dall’alto, nessuno ha mai una visione complessiva – ha spiegato Kéré – quindi la caratteristica più importante del palazzo del Parlamento sarà offrire uno spazio pubblico più alto di dodici metri”. L’Occidente può contribuire al progetto con le proprie conoscenze strutturali o con i propri standard di efficienza e sostenibilità che migliorano la qualità della vita. Ma il valore ultimo del progetto si basa sulla saggezza e i codici locali, che il mondo occidentale può solo servire e non guidare.
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