La “Compenetrazione iridescente n. 7” del 1912 circa, la cui cornice fu sagomata dall’artista con elementi che riprendessero il tema compositivo dell’opera, restituisce, in un susseguirsi di triangoli che si riflettono speculari, il digradare dei colori dai viola ai blu ai verdi ai gialli, come scomposti nel loro passaggio attraverso un prisma. L’opera si collega direttamente ad alcuni studi presenti nel taccuino tedesco e ricalca uno dei motivi più ricorrenti nella rappresentazioni delle “iridi”. Il termine fu introdotto dallo stesso Balla in alcune lettere inviate dalla Germania: il 21 novembre 1912 il pittore scrive al suo allievo Gino Galli una cartolina postale, in cui parla di un “tipo di iride” da perfezionare e rendere “ancora migliore di fusione”, dipingendo all’acquerello una composizione astratta a triangoli equilateri, mentre in una seconda lettera alla famiglia del 5 dicembre 1912 dipinge uno schema triangolare, parlando di “quest’iriduccio…dovuto…a un’infinità di prove e riprove e trovando finalmente nella sua semplicità lo scopo del diletto”. D’altra parte la diffusione della luce e la rappresentazione delle gamme cromatiche derivate dall’arcobaleno è ciò che lo attrae maggiormente durante il soggiorno tedesco, fin dal suo viaggio attraverso le Alpi per raggiungere la mèta: “Prima di arrivare al Gottardo i laghi con i grandi monti che si riflettono nelle acque dai colori iridescenti sono di quegli effetti che è meglio considerarli indipingibili…”, mentre alla stazione di Düsseldorf ammira le “belle vetrate colorate a triangoli e quadretti gialle e blu”, rimanendo poi affascinato dalle “alte vetrate colorite delle più vaghe tinte” del duomo della città; non dimentica tuttavia di ricordare la modernità delle luci artificiali dagli “effetti fosforescenti e fantastici” che animano la grande città sul Reno (lettere riportate in Fagiolo dell’Arco, 1968, p. 18). Gli studi sull’iride, già forse intrapresi in Italia in seno al nascente futurismo, vengono coltivati con maggiore intensità da Balla in Germania, dove può concretizzare le sue ricerche attraverso modelli formali diffusi nella cultura tedesca dell’epoca. Il percorso verso una rappresentazione nuova del movimento e della luce avviene in quel periodo con l’individuazione del moto propulsivo espresso attraverso il triangolo, determinante per l’astrazione della velocità d’automobili degli anni immediatamente successivi.