Christian Kerez è un pensatore originale e un professionista rigoroso. Da parecchi anni ormai sta realizzando progetti architettonici senza precedenti. Tali novità, tuttavia, non sono emanazione di una ricerca di forme bizzarre o semplicemente mai viste. Al contrario, a prima vista appaiono molto familiari: chiarezza strutturale, semplicità nella logica costruttiva, una concezione rigorosa dell’ordine. Ma questa apparente familiarità è solo il punto di partenza; ogni progetto, infatti, introduce una variazione nella consuetudine che reinventa tipologie o archetipi considerati esauriti: un fascio esterno di tiranti per dare stabilità a una torre, alterandone allo stesso tempo leggermente la sagoma, oppure vuoti circolari inseriti in una costruzione di lastre e colonne, a introdurre così una continuità intrinseca assente nella struttura regolare, sono solo un paio di esempi.
Il progetto presentato si spinge leggermente più in là, affrontando rischi ancora maggiori. Kerez è interessato a studiare e a trarre insegnamento dall’ambiente autoprodotto delle favelas. È importante non poeticizzarne la spontaneità ed evitare di confondere uno sviluppo apparentemente organico con la mera incapacità di azioni individuali (ancorché con le migliori intenzioni) per garantire il bene comune. Detto ciò, sebbene non siamo finora riusciti a resistere alla forza della spontaneità (che continua a prodursi nonostante i nostri sforzi per evitarla), ma soprattutto perché Kerez è un architetto coscienzioso, dobbiamo concedere (a lui, ma anche alle favelas) il beneficio del dubbio e sperare di ricavarne un qualche insegnamento.