Durante il regime fascista Benito Mussolini, il “Duce“, fu il prodotto principale di quella che, nei nostri tempi, è stata chiamata la fabbrica del consenso. Mussolini veniva rappresentato come la somma e la sintesi superiore d’ogni tipo di grandezza d’uomo, da quello di pensiero a quello di azione. La scultura, e in particolare il busto, era lo strumento ideale per magnificare e rendere eterno “l’uomo del destino“. Dalle raffigurazioni in borghese degli anni Venti si passa a quelle a petto nudo – simbolo di virilità ma anche di uguaglianza sociale – degli anni Trenta, in pose sempre più solenni e guerriere. Gli artisti- sia i poco o affatto noti sia i più grandi – in realtà scolpiscono, con il volto del Duce, il ritratto di quello che avrebbe dovuto essere l’italiano nuovo forgiato dal fascismo: un dominatore. Capire il culto del duce è un passaggio indispensabile per capire cosa sia stato il fascismo e il suo rapporto con gli italiani, sia chi vi credeva sia per chi, scrive Italo Calvino, non riuscì a compiere il passaggio “tra il giudicare negativamente il regime e un impegno attivo antifascista“.
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