Emily Floyd
Nata a Melbourne, Australia, nel 1972.
Vive e lavora a Sydney, Australia.
Non molto dopo la laurea in Scultura presso il Royal Melbourne Institute of Technology nel 1999, le opere di Emily Floyd hanno cominciato a essere esposte in tutto il mondo. Il suo lavoro prende forma nei punti in cui la scultura incontra lo spazio pubblico e in cui la progettazione si scontra con la crisi sociale; esso abbraccia elementi di una scultura allargata e di una gamma di supporti cartacei e artefatti tipografici, compresi poster e manifesti. Floyd reinterpreta le possibilità di rivolgersi al pubblico, coinvolgendo criticamente nella discussione una platea sempre più varia e imprevedibile. I temi di tale scambio vanno da questioni urgenti come le condizioni lavorative in un mondo in cui il lavoro è diventato sempre più immateriale, ai traumi della migrazione in un tempo in cui l’esilio è la norma, all’imperativo dell’auto-organizzazione in un momento in cui in tutto il mondo emergono forme di comunità inedite e improvvisate. In effetti, il lavoro di Floyd accenna a nuove forme di socialità per le quali l’opera d’arte può servire tanto da provocazione quanto da luogo di incontro. Il suo progetto per la 56. Biennale di Venezia, Labour Garden, è un esempio in tale senso. Il titolo mette insieme due concetti opposti: da un lato segnala uno spazio di fatica e sforzo, spesso in condizioni di sfruttamento; dall’altro evidenzia uno spazio di relax, l’immagine terrena del paradiso, l’hortus conclusus. Può il titolo incarnare un paradosso?
Il Labour Garden di Floyd è una scultura sociale, un assemblaggio modulare forgiato in metallo, i cui elementi, verniciati con brillanti colori per auto, compitano le parole “CONCRETE LA BOUR” (Lavoro Concreto). Questi elementi sono chiusi da un lato, aperti dall’altro, e possono essere disposti in modo da formare combinazioni variabili di mensole, aree di consultazione e spazi in cui sedersi. Sulle mensole troviamo accatastati una collezione di libri, opuscoli, riviste e PDF che documentano la vita quotidiana all’epoca del capitale “succhiasangue”. Questa biblioteca include studi sull’economia politica della globalizzazione, dossier sul diritto del lavoro, indagini sulla mobilita e sul cosmopolitismo delle classi popolari, riflessioni sulla precarietà e sul lavoro immateriale. L’apparente paradosso del titolo Labour Garden si potrebbe risolvere se considerassimo quest’opera come la rappresentazione di una pausa produttiva tra la preparazione teorica e l’impegno concreto.