La piccola terracotta rappresenta due donne sedute, con lo sguardo rivolto verso l'alto a contemplare il firmamento, come ci ricorda il titolo. È probabilmente tale spazio esterno all'opera, a cui tendono anche i busti leggermente allungati delle due giovani e che l'osservatore deve necessariamente tenere in considerazione, a creare quel clima di indeterminatezza e silenzioso raccoglimento così tipico di molte opere martiniane del periodo. "Le stelle" deriva palesemente la sua composizione dal gruppo fidiaco di "Afrodite in grembo alla madre Dione" (Londra, British Museum), un tempo collocato sul frontone orientale del Partenone e, a partire dall'Ottocento, stabile riferimento accademico attraverso la sua diffusione in calco alle scuole d'arte. L'effetto complessivo di solenne orizzontalità del modello è tuttavia mutato in una forte tensione verticale dove le stelle sarebbero oggetto di una contemplazione leopardiana e contemporaneamente un simbolo esistenziale di tensione verso un ideale. L'opera è coeva al grande gruppo "Il cielo. Le stelle" (Roma, GNAM), realizzato nel 1932 da Martini per l'architetto Marcello Piacentini, del quale rispecchia l'impianto complessivo. Le dimensioni ridotte e la sommaria definizione delle due figure hanno spinto a considerare "Le stelle" una prova per la più monumentale opera romana. Tuttavia sarebbe riduttivo considerarla un semplice bozzetto e non, piuttosto, una delle tante terrecotte in cui lo scultore continuava a sperimentare nuovi motivi, molto spesso senza finalità pratiche legate a lavori di maggiori dimensioni. Queste opere di piccole dimensioni, attraverso le quali Martini riconquistava la vena narrativa e ironica della sua produzione, ebbero il loro momento di visibilità nell'importante mostra personale presso la Galleria Milano nel febbraio 1933: tra le trentasette terracotte esposte, "Le stelle" appariva "dal lato sentimentale la più martiniana" (Crippa 1933). Antonio Boschi acquistò l'opera dalla Galleria Milano nel 1935. [Massimo De Sabbata]